Tra i molti temi dibattuti del diritto del lavoro vi è anche quello relativo alla possibilità di effettuare dei controlli (anche a distanza) sui dipendenti, senza che questi ultimi siano stati previamente avvisati del controllo (si tratta dei cosiddetti “controlli occulti” sui lavoratori). In via generale, questi controlli possono essere materialmente eseguiti direttamente dal datore di lavoro con appositi strumenti tecnologici (ad esempio, software per controllare mail, smartphone, computer, tablet, ecc.), oppure possono essere demandati alla figura (forse un po’ demodé) dell’investigatore privato.



Si tratta di una questione estremamente delicata e complessa e che non può essere certo affrontata ed esaurita in poche righe, anche in considerazione delle implicazioni connesse con la normativa sulla privacy. Può però essere utile avere qualche elemento orientativo, soprattutto con riferimento alla possibilità (non tanto usuale) di impiegare uno Sherlock Holmes. Al riguardo, precisiamo subito che la giurisprudenza non è affatto incline ad ammettere la possibilità di ricorrere a Philip Marlowe. 



Per i Giudici, il controllo sul corretto adempimento della prestazione lavorativa del lavoratore, sia che essa si debba svolgere all’interno dei locali aziendali, sia che debba svolgersi al di fuori degli stessi (come accade per gli agenti di commercio o per i venditori) non può essere effettuato in maniera “occulta”, in quanto tale controllo è riservato direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori (ai sensi dell’art. 3 dello Statuto dei lavoratori). E quel controllo ha peraltro dei limiti ben precisi.

Ci sono però delle eccezioni all’impossibilità di ricorrere a un Nero Wolfe. Una prima eccezione è costituita dalla possibilità di effettuare delle investigazioni sui dipendenti al di fuori dell’orario di lavoro per verificare se il lavoratore ha un doppio lavoro alle dipendenze di un concorrente, e ciò sia fonte di danno per il datore (Cass. n. 12810/2017). Un’altra eccezione consiste nella possibilità di utilizzare un Ellery Queen per verificare il corretto utilizzo dei permessi ex L. 104/1992 per l’assistenza a un familiare portatore di handicap (Cass. 4984/2014). Ancora, si è ritenuto legittimo il ricorso all’investigatore privato per verificare la sussistenza dello stato di malattia, ovvero la non idoneità della stessa a giustificare l’assenza del prestatore (Cass. 20433/2016). 



Il fil rouge che accomuna le varie eccezioni è costituito dal fatto che in tutti i casi l’indagine non si riferisce alla verifica del corretto adempimento della prestazione lavorativa. Com’è stato ribadito anche recentemente dalla Suprema Corte di Cassazione, il datore di lavoro può certamente sorvegliare il comportamento dei propri dipendenti servendosi di agenzie investigative a condizione, però, che tale vigilanza non sconfini in una forma di controllo occulto sull’esecuzione dell’attività lavorativa vera e propria (Cass. n. 15094/2018). La stessa Corte Cassazione precisa che “resta giustificato l’intervento in questione solo per l’avvenuta perpetuazione di illeciti e l’esigenza di verificarne il contenuto, anche laddove vi sia un sospetto o la mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione“.

Ma a quali illeciti allude la Corte Suprema? La risposta è data dagli stessi ermellini nella predetta decisione: la Corte di Cassazione precisa che è “illecito”, e dunque legittima il ricorso agli investigatori privati, ogni comportamento del dipendente che configuri “ipotesi penalmente rilevanti” (Cass. Ordinanza n. 15094 dell’11.6.2018). Per sottoporre il dipendente a controlli investigativi non basta, dunque, che il datore di lavoro abbia il mero sospetto che qualcosa “non vada” nel rapporto di lavoro. Occorre il (motivato) sospetto che il lavoratore stia commettendo un reato, non essendo affatto sufficiente il timore che il dipendente lavori male. Ad esempio, si potrà attivare l’investigatore privato qualora ci sia il sospetto che il lavoratore, con artifici o raggiri, attesti l’esecuzione di un’attività lavorativa che non è stata, in realtà, eseguita e che abbia così indebitamente lucrato la retribuzione.

Anche in tali casi occorrerà però agire con grande cautela. Secondo la giurisprudenza, un utilizzo scorretto dei controlli investigativi comporta l’inutilizzabilità dei dati acquisiti dal Mike Hammer di turno. Ne consegue allora che, se un dipendente è stato licenziato sulla base di fatti scoperti dall’investigatore e quei fatti non possono essere utilizzati, il licenziamento sarà illegittimo, e se si tratta di un rapporto di lavoro regolato dalla Legge Fornero il dipendente avrà diritto a pretendere la reintegrazione nel posto di lavoro.