RIFORMA PENSIONI: I PALETTI DI TRIA E LE CONTROMOSSE

Luigi Di Maio torna a parlare di riforma delle pensioni. Da Catania il ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico ha parlato di un primo step: «Agosto è un mese importante perché è quello in cui si comincia a discutere della legge di bilancio per riuscire a fare la riforma delle pensioni». Ma la modifica della Legge Fornero è un tema spinoso per il governo M5s-Lega, soprattutto per quanto riguarda l’introduzione delle quote 100 e 41. Il ministro dell’Economia Giovanni Tria, come riportato da Today, avrebbe posto una sorta di freno alle velleità dei due partiti di far decollare le misure su cui hanno fondato la loro campagna elettorale. Le risorse per fare tutto – riforma delle pensioni, reddito di cittadinanza e flat tax – non ci sono. L’ipotesi è di introdurre la Quota 100 ma con clausole per contenere i costi, in particolare il limite di 64 anni come età minima per andare in pensione. Non sarà dunque una Quota 100 pura. Invece per quanto riguarda Quota 41, si potrebbe passare a quota 42: per far tornare i conti il governo starebbe valutando la possibilità di innalzare di un anno il requisito. (agg. di Silvana Palazzo)



LA RICHIESTA SULL’ASPETTATIVA DI VITA

Quota 100, ma solo con almeno 64 anni di età. Quota 42 al posto di Quota 41: i lavoratori precoci cominciano a essere un po’ delusi dalle ultime indiscrezioni che arrivano sulla riforma delle pensioni che il Governo vorrebbe mettere a punto. Infatti arrivare fino a 64 anni prima della pensioni per qualcuno vorrebbe dire avere un’anzianità contributiva molto elevata. E anche poter andare in quiescenza con 42 anni di contributi rappresenterebbe una marcia indietro rispetto all’ipotesi di potersi ritirare dal lavoro dopo 41 anni indipendentemente dalla propria età anagrafica. Per questo non manca chi è disposto a tenersi l’attuale sistema purché venga eliminato l’aggancio dei requisiti pensionistici all’aspettativa di vita: almeno ci sarebbe una certezza sul quando poter andare in pensione, visto che, a causa anche di queste continue indiscrezioni, il “traguardo” da raggiungere continua a cambiare. 



L’ALLARME SUI RISPARMI DEGLI ITALIANI

Dallo Schroeders Global Investor Study 2018 emerge che, tra i 30 paesi presi in esame, in Italia i cittadini sono molto attenti a risparmiare, eppure non lo fanno per avere una pensione integrativa. Eppure con la riforma delle pensioni che ha introdotto il sistema contributivo dovrebbe essere diventato evidente che gli assegni futuri saranno diversi dallo stipendio che si percepisce durante l’attività lavorativa. Secondo quanto riporta money.it, dallo studio emerge che gli italiani sanno di dover mettere da parte almeno il 12,5% del loro reddito per integrare la futura pensione, ma ne accantonano solo il 9,8%. Non bisogna dimenticare che c’è chi ha scelto di destinare al proprio fondo pensione il Tfr. Dunque c’è chi riesce a pensare alla propria pensione anche senza dover aumentare quel che riesce a risparmiare ogni mese.



AUMENTATI I SOSTEGNI PER LE PENSIONI MINIME

Mentre il Governo prepara un piano per aumentare le pensioni minime, in Alto Adige è stata allargata la platea di quanti possono usufruire di un sostegno particolare alle pensioni più basse. Come ricorda altoadigeinnovazione.it, “la Giunta ha deciso di abbassare da 70 a 65 anni l’età di coloro che percepiscono una pensione bassa e hanno quindi diritto a un contributo maggiorato per le spese accessorie per l’alloggio. Contemporaneamente l’importo complessivo massimo delle entrate nette da pensione è stata aumentato a 9.000 euro all’anno (750 euro mensili), mentre gli importi delle prestazioni ammontano a un massimo di 200 euro al mese”. Le domande vanno presentate presso il proprio Distretto sociale di riferimento, presso il quale i pensionati che hanno un reddito basso, ma non rientrano nei limiti sopra indicati, possono far verificare se hanno comunque diritto a un contributo di importo più basso.

QUOTA 41 E QUOTA 100, LA PREOCCUPAZIONE DEI LAVORATORI

Iniziano ad essere preoccupati i lavoratori circa la forte incertezza che aleggia sulle loro future pensioni. Il governo, a cominciare dai due ministri chiave, Di Maio e Salvini, continuano ad esternare la volontà di cambiare la Legge Fornero, modificandola con condizioni più favorevoli agli stessi lavoratori, ma c’è chi è convinto che alla fine l’attuale riforma in vigore sia migliore rispetto a quella che il governo giallo-verde vorrebbe attuare. La novità di quota 100, ovvero, 36 anni di contributi e 64 di età, oppure 41 anni di contributi, boccerebbe di fatto chi ha lavorato di più, ed è quello che scrive Pierantonio sui social, come riportato da Pensionipertutti.it: «Con la quota 100 che vogliono fare – dice indignato – partono dal presupposto che prima si manda in pensione chi ha 34, 35, 36 anni di contributi, chi invece si é giocato la giovinezza lavorando e adesso ha 40, 41, 42 anni di contributi deve lavorare ancora e aspettare magari il 2020. Ma la logica dovrebbe dire il contrario…». Molte le lamentele su questo tono: il governo dovrà dare una risposta chiara il prima possibile. (aggiornamento di Davide Giancristofaro)

RIFORMA PENSIONI, LE PAROLE DI SANDRO GRONCHI

Con un intervento su Lavoce.info, Sandro Gronchi ha affrontato il tema della riforma delle pensioni, tanto discusso in questi mesi. Dal suo punto di vista, il sistema delle Quote (Quota 100 e Quota 41) che il Governo Conte vorrebbe, almeno nelle intenzioni, introdurre al posto della Legge Fornero, sarebbe in contrasto con la flessibilità contributiva. Inoltre, al Professore di Economia politica della Sapienza di Roma non piace l’idea di “rilanciare la pensione d’anzianità generalizzando il requisito contributivo di 41 anni, ora riservato ai lavoratori precoci”. Gronchi paventa anche l’abolizione del meccanismo che lega i requisiti pensionistici all’aspettativa di vita, ricordando che tale meccanismo fu introdotto da un Governo di cui la Lega era parte integrante.

Dal suo punto di vista, in tema previdenziale un intervento che sarebbe necessario riguarda la flessibilità pensionistica, che oggi è realmente ostacolata “da due requisiti aggiuntivi che occorre rimuovere: la maturazione di una pensione almeno pari a 2,8 volte l’assegno sociale e un’anzianità contributiva di almeno 20 anni”. Inoltre, alla ‘flessibilità vigilata’ hanno diritto i lavoratori destinatari di pensioni interamente contributive, che hanno iniziato l’attività dopo il 1995, mentre agli altri è imposta un’età pensionabile secca che nel 2019 diventerà di 67 anni”. Per Gronchi quindi bisognerebbe estendere la flessibilità a tutti, prevedendo magari una riduzione del coefficiente di trasformazione per chi decidesse di ritirarsi dal lavoro a meno di 67 anni. “Ad esempio, chi volesse andare in pensione a 64 anni dovrebbe accettare una riduzione pari alla differenza percentuale che separa il coefficiente di tale età da quello dei 67 anni”, spiega l’economista