Partiamo dal principio, il Decreto dignità, premesso che chi scrive non è contrario al provvedimento in quanto ritiene che una “stretta” ai contratti a tempo determinato era doverosa e sarebbe stata opportuna da parte del precedente governo. Tale considerazione non toglie che non c’è stato nessun “complotto” nei confronti dell’attuale ministro del Lavoro, in quanto la relazione tecnica sui cosiddetti “80mila lavoratori in meno” è una relazione che accompagna tipicamente i documenti del governo, com’è avvenuto per tutte le altre leggi. In merito all’analisi, si tratta di una stima approssimativa (dettata anche dai tempi stretti con cui si è approvato il decreto), probabilmente attraverso modelli predittivi su dati delle comunicazioni obbligatorie. Il ministro Tria ritiene che tali analisi siano prive di fondamenta scientifiche, a essere contestata è l’arbitrarietà con cui si è definito il valore medio di perdita annuo del 10% dei posti di lavoro per effetto della riduzione da 36 a 24 mesi della durata massima dei contratti a termine.
Va detto che come tutte le stime “predittive” sulle riforme, le modifiche normative non hanno mai mostrato un impatto significativo rispetto a fattori esterni di carattere economico (investimenti strutturali, crescita dell’export, contrattazione salariale) in merito all’andamento del mercato del lavoro. Anche questa volta, a mio avviso, dipenderà soprattutto dalla prospettiva complessiva dell’economia del Paese, che non è rosea.
Lo stallo politico prima dell’attuale governo ha prodotto un forte attrito sui mercati; per fortuna la prossima finanziaria siglata dal Governo giallo-verde sarà in linea con quelle precedenti (con la speranza che possa disinnescare l’innalzamento dell’Iva) e al momento non c’è nulla, ripeto nulla delle proposte del famoso “contratto” (niente reddito di cittadinanza, niente flat tax, niente Quota 100 per le pensioni, nessun investimento sui Centri per l’impiego, il nulla…) e a quanto pare anche per il 2019 la situazione sarà più o meno la stessa: si farà qualcosa probabilmente tra due anni, se nel frattempo si troveranno le coperture (si parla di 100 miliardi) e nella speranza di non dover fare interventi straordinari (dovute a calamità naturali) che comporteranno interventi ad hoc.
Nel frattempo però si rischia di aggravare la situazione occupazionale, soprattutto quella giovanile, se il Regno Unito dovesse attuare la proposta choc della premier May, ovvero una stretta sui permessi di soggiorno ai cittadini europei per le occupazioni non qualificate. Il numero di italiani/lavoratori nel Regno Unito si stima intorno al mezzo milione, nell’ultimo anno c’è stato un vero boom di connazionali che hanno raggiunto la Gran Bretagna con un incremento di 27mila unità rispetto all’anno precedente.
A differenza di quanto si pensa, pochi, ma veramente pochi (sotto il 10%) sono i cosiddetti “cervelli in fuga”, la stragrande maggioranza svolge lavori normalissimi nell’ambito del settore turistico o attività impiegatizie nei servizi per l’impresa. In altre parole, si blocca un flusso costante di mobilità occupazionale che produrrà come effetto un incremento nel nostro Paese della disoccupazione giovanile e del tasso di Neet.
Tuttavia, a rappresentare un vero stillicidio di posti di lavoro non saranno tanto le modifiche al Decreto dignità o il blocco dei flussi deciso dal governo inglese, ma le modifiche al Decreto Monti, in particolare la proposta a firma M5S che prevede in ogni Comune l’apertura di non oltre il 25% dei negozi per ciascun settore merceologico, nei giorni festivi e nelle domeniche. Una proposta del genere rischia nei grandi centri urbani di provocare una perdita di posti di lavoro. Quanti? Tanti secondo Confimprese, all’incirca 400 mila, ovvero 2 milioni di lavoratori in 5 anni, altro che 80mila del Decreto dignità!
Qualsiasi grande aziende che ottiene un elevato fatturato grazie alla domenica aperta chiederà immediatamente la ridiscussione unilaterale del contratto di lavoro del proprio settore, perché date le condizioni della riforma rischia un danno economico enorme e di conseguenza saranno colpiti soprattutto quei lavoratori a bassa qualifica (l’assoluta maggioranza di quelli coinvolti) assunti attraverso un part-time verticale che comprende la domenica. Mi auguro sinceramente che tale proposta non veda mai attuazione: se serve come nel caso dei “rider” ad aprire un tavolo istituzionale sul tema ben venga, ma se invece il Governo intende andare fino in fondo, sarebbe questa volta opportuno prima chiedere una stima dell’impatto della riforma all’Inps e poi al massimo gridare al complotto!