Se avesse assistito al balletto di dichiarazioni, controdichiarazioni, affermazioni e negazioni, frasi così polite (nel senso di rifinite e limate) da far invidia a una statua di Michelangelo, cui sui giornali ha dato vita il cosiddetto “decreto dignità” del Governo Conte (dal nome del Primo Ministro italiano, per chi non se lo ricordasse, cosa abbastanza facile), non c’è dubbio che quella gran volpe di Padre Brown, che ben conosceva le arti subdole e intelligentissime del Gran principe delle Tenebre, avrebbe esclamato un sacrosanto “Accidenti al demonio”.



Eh sì, perché ci si mette d’accordo su tutto, o quasi. Si scrive un documento nel quale in omaggio alla completezza (e pazienza se i congiuntivi sono un po’ stiracchiati) si trovano le parole per dire che concordiamo su tutto, ed ecco che Lucifero al primo vero esame ci mette lo zampino, che ha notoriamente la forma dello zoccolo di ungulato. Per i pentastellati, infatti, i voucher vanno aboliti. Per i leghisti, che sarebbero al Governo coi pentastellati, invece no. Capite che non c’è molto da sfogliare le verze: che si fa? Si scontentano i riders o i padroncini del Nord?



E non c’è nemmeno da aspettarsi un aiuto da qualche spaccatura nel fronte sindacale, dato che sembrerebbe che Cgil, Cisl e Uil non abbiano troppa voglia di tornare indietro su un tema che pure ha provocato in passato qualche scossone alla Unità sindacale. Tant’è che i segretari generali di Fai Onofrio Rota, Flai Ivana Galli e Uila Stefano Mantegazza hanno già deciso la mobilitazione contro la reintroduzione dei voucher in agricoltura, mobilitazione che si terrà da oggi e fino a giovedì, davanti alla sede del Parlamento, non a caso mentre là dentro avrà luogo la discussione del Decreto dignità.



A giudizio dei sindacati di categoria, d’altra parte, i voucher in agricoltura esistono già e hanno limiti ben definiti: la paura delle tre organizzazioni è che si torni a un sistema penalizzante per i lavoratori, per la legalità e per la tracciabilità. Niente ritorno al passato, quindi, quando i voucher venivano utilizzati da troppe aziende come salvacondotto da mostrare in caso di ispezioni in azienda. Più in generale, poi, i tre considerano “inaccettabile pensare di ridurre la precarietà con norme ad hoc sul lavoro a tempo determinato e sul lavoro somministrato e, contemporaneamente, ampliare l’utilizzo dei voucher rispetto a quanto già previsto dalla normativa, in un settore nel quale il 90% dell’occupazione è stagionale e a chiamata”.

Non è che la Cisl, ad esempio, abbia fatto mancare le critiche al provvedimento, tanto che il Segretario confederale che segue la partita, Luigi Sbarra, si è spinto ad affermare, riproponendo il ben noto cavallo di battaglia del sindacato di via Po, che “è sbagliato ripristinare le causali, un tema che andrebbe lasciato alla contrattazione collettiva, in particolare a quella aziendale, che è il luogo in cui lavoratori e imprese concordano questi aspetti” ed è “sbagliato l’intervento sul lavoro somministrato”, come è anche “un errore equipararlo al lavoro a termine”. Secondo Sbarra, insomma, la via da intraprendere “è quella degli incentivi ai contratti a tempo indeterminato, perché la precarietà si supera con la riduzione strutturale del costo del lavoro per questi contratti”.

Quanto ai voucher in agricoltura – ha aggiunto -, “il Governo rischia di sbandare perché in agricoltura abbiamo già delle tipologie contrattuali che permettono l’impiego di studenti, pensionati e disoccupati. Ripristinare i voucher significherebbe operare verso l’indebolimento dei diritti”. D’altra parte non è che la strada da intraprendere, dal punto di vista di lavoratori e pensionati, sia una sorpresa: da tempo i sindacati vanno sostenendo che al netto di misure che non si capisce bene se sono da catalogarsi tra i provvedimenti stregoneschi o gli interventi miracolosi, e in assenza di pur auspicabili segnali dall’Onnipotente che intende occuparsi in Prima Persona, del Bilancio dello Stato italiano e di moltiplicazione dei posti di lavoro, la crescita ripartirà solo con investimenti, con l’abbassamento delle tasse su lavoratori e pensionati, con politiche industriali e di coesione. Se si cerca lavoro stabile, insomma, lo si troverà non grazie a norme lavoristiche, ma con la crescita.

Giudizio negativo, così si ristabilisce la par condicio, della Cisl anche sulla proposta del Pd di salario minimo: occorre piuttosto dare valore legale ai minimi contrattuali e stanare i contratti pirata che producono dumping sociale. Un ritornello cha però andrebbe imparato a memoria, visto che dai piani quinquennali dei kolchoz fino al Decreto dignità ancora un sacco di gente sembra convinta che il lavoro nasca sotto i cavoli e venga portato, stretto nel becco delle cicogne, sotto forma di decreto e di legge. Tanto più che sta avvenendo per il lavoro quel che da tempo si osserva anche sul fronte scolastico: Ministro che arriva, decreto che s’approva. Solo che la pretesa della politica di cambiare ogni tre anni le regole del mercato del lavoro non ha mai prodotto risultati significativi sul piano dell’occupazione, soprattutto quando questo viene fatto senza tenere conto del ruolo delle parti sociali e della contrattazione collettiva.

Meglio sarebbe stato, pensano in molti tra i sindacalisti, se tra una dichiarazione e un selfie, il ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico avesse convocato le parti e promosso un tavolo di confronto su temi di una qualche importanza come i contratti di lavoro, la loro durata, la loro applicazione.

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