RIFORMA PENSIONI, LE RICHIESTE DELLA CGIL

Torna a farsi sentire la Cgil sul tema della riforma delle pensioni. Le varie sezioni territoriali, come quella di Alessandria, rilanciano la richiesta di risposte concrete al Governo per superare la Legge Fornero. Vengono quindi ricordate alcune richieste del sindacato, come l’ampliamento della flessibilità pensionistica in modo da consentire l’uscita dal mercato del lavoro a 62 anni, il varo della Quota 41 per tutti, senza vincoli particolari (come quelli previsti ora per l’Ape social), la proroga di Opzione donna, il superamento del meccanismo che lega i requisiti pensionistici all’aspettativa di vita, l’estensione dei lavori usuranti, il varo della pensione di garanzia per i giovani. Per la Cgil è importante anche la separazione dell’assistenza dalla previdenza ai fini dei calcoli dei costi della spesa per le pensioni in rapporto al Pil e una riforma della governance dell’Inps.



I NUMERI CONTRO SALVINI

Matteo Salvini ha spiegato che un obiettivo del Governo, oltre a una riforma delle pensioni con Quota 100, è rappresentato dall’aumento delle minime, che potrà essere fatto anche tagliando sprechi come quello rappresentato dal pagamento di pensioni sociali a immigrati, derivanti da ricongiungimenti familiari, che costerebbero un miliardo di euro. L’Agi ha compiuto un fact checking su questa affermazione, arrivando alla conclusione che il vicepremier ha torto. Prendendo i dati Istat sugli stranieri residenti in Italia, si può dedurre che quelli in età pensionabile siano circa 155.000 e “se tutti questi stranieri regolarmente residenti ottenessero l’assegno sociale per intero, l’esborso per le casse dello Stato sarebbe pari a circa 910 milioni di euro”. Tuttavia è difficile pensare che tutti questi 155.000 stranieri siano molto poveri, residenti in Italia da 10 anni e giunti nel nostro Paese per ricongiungimento familiare. 



QUOTA 41, ESODATI E OPZIONE DONNA: BOCCIATI EMENDAMENTI FDI

Fratelli d’Italia, attraverso Walter Rizzetto, aveva presentato degli emendamenti al Decreto dignità riguardanti la proroga di Opzione donna, la nona salvaguardia degli esodati e l’estensione di Quota 41 (oggi limitati ad alcuni casi previsti nell’Ape social). Questi emendamenti sono stati però dichiarati inammissibili, come ha comunicato non solo lo stesso deputato di FdI, ma anche Giorgia Meloni, che su Facebook ha scritto: “Considerati inammissibili gli emendamenti di Fratelli d’Italia con i quali chiedevamo di prorogare in materia pensionistica Opzione Donna, esodati residui e Quota 41. Emendamenti che se approvati, oltre ad aiutare migliaia di lavoratori, avrebbero portato nel medio periodo un risparmio notevole per le casse Inps e statali”. La leader di Fratelli d’Italia annuncia una battaglia “in aula per tutelare il lavoro, le vite dei lavoratori e i diritti degli stessi. Nel decreto che si chiama ‘dignità’ cosa ci sarebbe stato di meglio che mettere la dignità di persone che vogliono andare in pensione?”.



ERRORI DI CALCOLO DELL’INPS

Due pensionati di Treviso hanno vinto un’importante battaglia legale con l’Inps e si vedranno rimborsati, complessivamente, di oltre 80.000 euro. Come spiega Libero, i due si sono visti calcolare l’assegno pensionistico sulla base dell’importo della mobilità che hanno incassato nell’ultimo anno di lavoro. Cosa che ha ridotto sensibilmente (dai 250 ai 400 euro al mese) la loro pensione. Per questo, dopo aver provato a convincere i funzionari dell’Inps dell’errore commesso, hanno deciso di fare causa. Che li ha visti vincitori. Già in passato c’erano stati casi analoghi in Sicilia e secondo quanto detto dal legale dei due pensionati trevigiani, “quello dei nostri assistiti non è affatto un caso isolato”. Tuttavia c’è da tenere presente che “chi vuole opporsi ha tre anni e 300 giorni di tempo, da quando ha ricevuto il provvedimento di liquidazione della pensione”, come ricorda Paolo Palma, Presidente dell’Associazione avvocati previdenzialisti.

SULLE MINIME NUOVO APPELLO AL GOVERNO

Matteo Salvini, oltre a ribadire la volontà di varare una riforma delle pensioni all’insegna di Quota 100, ha spiegato in un’intervista televisiva che il piano per alzare le pensioni minime non è stato accantonato, ma solo rinviato di qualche mese, così da tagliare prima degli sprechi per reperire le risorse necessarie all’intervento. E ci sono persone che lo aspettano con ansia. Tgcom24 ha raccolto la testimonianza di Maria Rosa, una bidella in pensione da 24 anni che non riesce a tirare avanti con 550 euro al mese. Non ha vergogna ad ammettere di dover rivolgersi ai centri di raccolta di abiti usati o a dover evitare il supermercato perché troppo caro: “Mi rivolgo a un’associazione che offre da mangiare a chiunque: latte, frutta e persino lasagne”. Vista la sua situazione chiede al Governo di “sbrigarsi ad aumentare le pensioni, perché io con 550 euro al mese non riesco ad andare avanti”.

RIFORMA PENSIONI E QUOTA 100, LA POSIZIONE DELLA CISAL

Tra coloro che chiedono una riforma delle pensioni con un intervento “immediato, deciso e coraggioso del Governo” c’è la Cisal, il cui Segretario generale, Francesco Cavallaro, evidenzia come sia “necessario, urgente e soprattutto economicamente sostenibile modificare la Legge Fornero, cancellando nel contempo l’Ape volontaria, causa di costi iniqui per i singoli e per la collettività”. Tutto questo, sottolinea il sindacalista, “in barba al terrorismo psicologico innescato dalle proiezioni Inps, con particolare riferimento all’ipotesi di ‘abolizione della pensione anticipata e al ripristino della pensione di anzianità con quota 100 o 41 anni di anzianità contributiva’, che porterebbe a un costo, a regime, pari a 6 punti percentuali del Pil 2018”.

Per Cavallaro, questo elemento sarebbe “poco rilevante in considerazione dell’ampio arco temporale preso in esame”. Anche perché le note stesse dell’Inps “precisano che i maggiori oneri legati all’aumentato numero di trattamenti previdenziali si ridurranno dal 2030, fino a trasformarsi dal 2040 in risparmi”. Senza dimenticare che non si è tenuto conto del fatto che sulle nuove pensioni che verrebbero erogate lo stesso imporrebbe delle tasse, recuperando quindi una parte delle uscite. “Il conforto dei numeri si aggiunge dunque alla consapevolezza che il turnover innescato dalla quota 100 comporterebbe, oltre alla corresponsione di contributi e imposte da parte dei nuovi assunti, un indubbio effetto positivo per l’economia anche sotto il profilo dei consumi”, evidenzia Cavallaro.