Il Jobs Act, in particolare il decreto 150 attuativo delle deleghe in materia di politiche attive e di servizi per il lavoro, stabilisce che il ministero del Lavoro e le Regioni, per le parti di rispettiva competenza, esercitano il ruolo di indirizzo politico in materia di politiche attive per il lavoro, mediante l’individuazione di strategie, obiettivi e priorità che identificano la politica nazionale in materia. In questo viene definita una rete dei servizi per le politiche del lavoro costituita da diversi soggetti, pubblici o privati, quali l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro, l’Anpal, le strutture regionali per le Politiche attive del lavoro, l’Inps, in relazione alle competenze in materia di incentivi e strumenti a sostegno del reddito, l’Inail, in relazione alle competenze in materia di reinserimento e di integrazione lavorativa delle persone con disabilità da lavoro, le Agenzie per il lavoro, i soggetti autorizzati allo svolgimento delle attività di intermediazione e i soggetti accreditati ai servizi per il lavoro, i fondi interprofessionali per la formazione continua, l’Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori (Isfol divenuto nel frattempo Inapp) e Anpal Servizi, il sistema delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, le università e gli istituti di scuola secondaria di secondo grado.



In questo quadro il nuovo Parlamento, a maggioranza giallo-verde, sta portando avanti un’indagine conoscitiva, fortemente voluta anche dal ministro del Lavoro Di Maio, per analizzare il funzionamento dei servizi pubblici per l’impiego in Italia e all’estero. È emersa, quindi, tra le varie criticità, la questione di Anpal Servizi, già Italia Lavoro, la società di servizi che opera “in house” sotto il controllo dell’Agenzia nazionale delle politiche attive.



Nello specifico la “nuova” struttura  supporta, o almeno dovrebbe, la realizzazione delle politiche attive del lavoro a favore di persone in cerca di occupazione, il rafforzamento dei servizi per l’impiego a favore delle fasce particolarmente svantaggiate (migranti, vittime di tratta e sfruttamento lavorativo, persone svantaggiate ai sensi della legge 381/1991 e del d.lgs. 276/2003 e beneficiari del reddito di inclusione), la ricollocazione dei disoccupati a vario titolo beneficiari di qualche indennità.

Emerge, tuttavia, un paradosso. Circa 800 operatori, in gran parte personale qualificato impegnato quotidianamente nell’assistenza tecnica ai Centri per l’impiego, alle Regioni e nella gestione di azioni nel campo delle politiche del lavoro, dell’istruzione e dell’inclusione sociale, su 1.200, il 62% del totale delle lavoratrici e dei lavoratori di Anpal Servizi, ha contratti “precari” a tempo determinato e/o di collaborazione. La valorizzazione, e la qualificazione, della rete dei servizi per il lavoro tanto enfatizzata passa, probabilmente, anche dalla soluzione di situazioni come queste che per alcuni lavoratori dura da quasi venti anni?



Il Decreto dignità nel frattempo, è bene ricordarlo, esclude, come da tradizione, le pubbliche amministrazioni dalle nuove normative tese a ridurre i contratti di lavoro a termine. Su questo dato sarebbe tuttavia opportuno riflettere. Sembra, infatti, a differenza di quello che ci diceva Faber tanti anni fa, che la Politica e l’Amministrazione Pubblica possono, nel nostro Paese, continuare a dare buoni consigli pur essendo un cattivo, per certi aspetti pessimo, esempio.

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