Allo scopo di rafforzare le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione, nonché di riordinare i contratti per renderli maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto occupazionale e produttivo e di rendere più efficiente l’attività ispettiva, il Jobs Act prevedeva che il Governo adottasse uno o più decreti legislativi, di cui uno recante un testo organico semplificato delle discipline delle tipologie contrattuali e dei rapporti di lavoro, in coerenza con la regolazione dell’Unione europea e le convenzioni internazionali.
Si prevedeva, in particolare, di operare per individuare, e analizzare, tutte le forme contrattuali esistenti al tempo, ai fini di poterne valutare l’effettiva coerenza con il tessuto occupazionale e con il contesto produttivo nazionale e internazionale anche al fine della semplificazione, modifica o superamento di alcune tipologie contrattuali attivabili fino al 2014. Il Governo Renzi sceglieva poi, in coerenza con le indicazioni europee, di legiferare al fine di promuovere il contratto a tempo indeterminato come forma comune di contratto di lavoro rendendolo più conveniente rispetto agli altri tipi di contratto in termini di oneri diretti e indiretti.
Si escludeva, quindi, per le nuove assunzione con il “nuovo” contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti la possibilità della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, prevedendo solamente un indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità di servizio, e limitando altresì il diritto alla reintegrazione ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato superando, di fatto, cosa rimaneva dello “storico” art. 18 dopo le modifiche della “Legge Fornero”.
A distanza di alcuni anni da queste riforme “storiche” quale è lo stato reale di salute del nostro mercato del lavoro? A maggio 2018 la stima degli occupati, almeno secondo l’Istat, registra un sensibile aumento (+0,5% rispetto ad aprile, pari a +114 mila) e il tasso di occupazione sale così al 58,8% (+0,2 punti percentuali rispetto al mese precedente). Più in generale su base annua si rafforza la crescita occupazionale: +2,0% pari +457 mila posti di lavoro. Una crescita che interessa sia gli uomini che le donne e si concentra, in maniera particolarmente significativa, tra i lavoratori a termine che registrano un +434 mila. Resta, allo stesso tempo, stabile il numero dei lavoratori a tempo indeterminato, seppure a tutele crescenti.
Possiamo, forse, dire oggi alla luce dei numeri della statistica che il Jobs Act non ha ottenuto l’ambizioso obiettivo che si poneva? È, probabilmente, la conferma dell’adagio per cui i posti di lavoro non si creano per decreto specialmente in un periodo, come quello che stiamo vivendo, di profonda trasformazione economica e sociale? In questo quadro si pone, con luci e ombre, l’annunciato Decreto dignità del Governo Conte. Basterà un nuovo intervento normativo per realizzare, anche nel mercato del lavoro, il cambiamento proposto e promesso nei mesi scorsi? Ai numeri l’ardua sentenza.