Settimana scorsa il Consiglio dei ministri ha approvato il cosiddetto “decreto dignità”, che contiene disposizioni afferenti diverse materie, dal contrasto al lavoro precario all’inasprimento sui costi di licenziamento, norme contro la ludopatia e le delocalizzazioni, fino ad arrivare alla semplificazione fiscale. Le misure a contrasto del lavoro precario sono state le più criticate sia nei giorni precedenti al passaggio in Consiglio dei ministri che successivamente la sua approvazione nella versione definitiva. In particolare, il dibattito sul lavoro in somministrazione ha catalizzato l’attenzione.
Nello specifico riteniamo fondamentale non aver proceduto all’abrogazione del contratto di somministrazione a tempo indeterminato. A nostro avviso questa è la forma contrattuale “atipica” più tutelata che esiste in Italia, in quanto coniuga la flessibilità necessaria alle imprese utilizzatrici con la garanzia di un rapporto a tempo indeterminato con un soggetto, l’Agenzia per il lavoro, che è tenuta a ricollocare e riqualificare la persona in caso di interruzione della missione lavorativa. In Italia sono quasi 40.000 i lavoratori assunti con questa tipologia contrattuale, incrementati esponenzialmente negli ultimi anni: l’abrogazione di tale articolato avrebbe imposto l’interruzione di questi contratti e per molti di loro l’inizio della disoccupazione.
Per quanto riguarda invece la somministrazione a tempo determinato, viene sostanzialmente assimilata al contratto a tempo determinato standard con esclusione degli articoli 23 e 24 del d.lgs 81/2015, ovvero le disposizioni in materia di contingentamento (numero massimo di lavoratori temporanei definiti per legge che possono essere impiegati in una azienda) che resta in capo alla contrattazione collettiva e l’applicazione del diritto di precedenza (ovvero la possibilità per coloro assunti a termine di avere un accesso “agevolato” alle eventuali future stabilizzazioni).
Novità molto importanti, che estendono anche alla somministrazione previsioni già applicate al tempo determinato, riguardano il numero di proroghe che scendono, in linea con la media europea, a un massimo di 4; l’applicazione anche per i rinnovi dei contratti nella somministrazione dello “stop&go” ovvero l’obbligo di attendere un arco di tempo, di 10 o 20 giorni, tra la scadenza e l’inizio di un nuovo contratto; inoltre, viene estesa anche alla somministrazione l’apposizione di un periodo massimo di utilizzo, pari a 24 mesi.
Oltre a queste disposizioni, il decreto prevede per i contratti dalla durata complessiva superiore ai 12 mesi, e comunque per tutti i contratti rinnovati, l’applicazione della “causale”: il datore di lavoro dovrà quindi motivare se l’utilizzo del contratto a termine è riconducibile a esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività per esigenze sostitutive di altri lavoratori, oppure per esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria. A questo si aggiunge un’altra novità, ovvero l’incremento contributivo dello 0,5% applicabile a ogni rinnovo di contratto.
In questo modo vengono penalizzati troppo i rapporti di lavoro in somministrazione. Soprattutto se consideriamo che già oggi un lavoratore assunto da una Agenzia per il lavoro, grazie alla contrattazione delle organizzazioni sindacali del settore, può beneficiare di tutele di welfare integrativo che tutta Europa ci invidia (anche la Germania) e che già oggi è previsto un contributo aggiuntivo al costo del lavoro per finanziare percorsi di formazione professionali e di riqualificazione. Non è corretto penalizzare il questo modo la somministrazione di lavoro e lasciare indenne il vasto mondo delle cooperative, delle finte partite Iva e bendarsi gli occhi davanti all’utilizzo illegale dei tirocini extracurriculari.
Sicuramente la somministrazione di lavoro negli ultimi anni è stata oggetto di comportamenti distorsivi, che hanno spesso snaturato l’origine virtuosa di questa tipologia contrattuale che incarna il principio della flexsecurity: ne sono un esempio il ricorso ai rapporti di lavoro brevi e reiterati e la poca attenzione a riqualificare le persone già impegnate in precedenti esperienze di lavoro. Il contenuto del decreto però non offre una risposta reale a questi problemi, anzi, corriamo seriamente il rischio di accentuare ulteriormente l’uso improprio della somministrazione, incentivando comportamenti distorsivi.
Prevedere per il rinnovo dei contratti con lo stesso lavoratore l’apposizione della causale, il rispetto dello stop&go e la maggiorazione contributiva dello 0,5%, avrà come effetto (ben che vada) quello di incentivare un turnover esasperato da parte delle Agenzie per il lavoro: per il ruolo che svolgono i somministratori di manodopera, non avranno difficoltà a reperire nuovo personale da avviare al lavoro in sostituzione di coloro che avendo già svolto una missione lavorativa sono portatori di una penalizzazione contributiva e normativa.
Ribadiamo che alcuni correttivi devono essere posti alla somministrazione, ma questo è il compito delle parti sociali, che già nel corso di questi vent’anni sono state in grado di trovare delle soluzioni innovative, ponendo la somministrazione nella fascia alta del mercato del lavoro, evitando di fare dumping al ribasso penalizzando i lavoratori. È necessario riaffermare questo protagonismo positivo dei corpi intermedi e sottoscrivere al più presto il contratto collettivo di lavoro del settore della somministrazione. Questa che si apre può essere la settimana decisiva. Non sprechiamo l’opportunità di dare un messaggio chiaro e forte al decisore politico: rispolveriamo l’arte del negoziato e della mediazione, firmiamo il contratto, ridefiniamo nuove tutele e opportunità per i lavoratori che rappresentiamo.
I cambiamenti bisogna governarli, non possiamo subirli: come Felsa-Cisl abbiamo deciso di andare fino in fondo ed esercitare l’autonomia contrattuale che sempre è stata baluardo della nostra Confederazione.