Osservare l’attualità alla luce della storia della Repubblica dà un’impressione di disarmante continuità. Un’impressione che non cambia se si guarda di volta in volta alla prospettiva della politica, a quella dell’economia, così come a quella del sindacato. Un’impressione che si rafforza leggendo il documentato libro di Giuliano Cazzola e Giuseppe Sabella, il primo, sindacalista di lungo corso convertito alla parte opposta della politica, il secondo attento analista del mondo del lavoro (autori peraltro ben conosciuti ai lettori del Sussidiario). “L’altra storia del sindacato” (ed. Rubbettino, pagg. 208) è infatti qualcosa di più di un racconto dei non pochi fatti salienti che hanno contraddistinto le relazioni industriali in Italia dal dopoguerra a oggi. È una valutazione appassionatamente critica dei punti di forza, ma anche di quante occasioni mancate si siano accumulate nel corso dei decenni perché le scelte sindacali, condizionando pesantemente quelle politiche, hanno di volta in volta frenato un’effettiva modernizzazione del Paese. E questo perché al primo posto c’era la ricerca del potere e del consenso più che l’effettiva risposta ai problemi di sviluppo e di equità.



Un forte condizionamento alle scelte è per esempio venuto dall’ondivaga problematica dell’unità sindacale. Soprattuto con una Cgil che solo a tratti riusciva a mettere in secondo piano il retroterra ideologico, il rapporto con le diverse forme del partito comunista, la volontà di ridurre tutto a norme rigide e bloccate. Ma soprattutto spicca un motivo di fondo: lo schematismo che non tiene conto né del principio di realtà, né delle necessità del progresso. Ci sono voluti decenni per superare la logica della contrapposizione tra padroni e lavoratori, per guardare al salario e al posto di lavoro come variabili dipendenti dalla situazione delle aziende e dell’economia, per considerare i diritti anche di chi il lavoro o la pensione non l’ha ancora.



Viene immediato il paragone con quello che stiamo assistendo con le prime mosse del governo scaturito dalle elezioni del 4 marzo. I passi indietro sulle regole dei contratti, l’ostilità alle nuove infrastrutture, l’insofferenza verso i segnali dei mercati, le regole europee considerate come un vincolo imposto e non come una necessità per la buona gestione dei conti pubblici, le pensioni assimilate all’assistenza sociale: tutti elementi che contrastano con un sistema economico-industriale, oltre che sociale, che è profondamente cambiato e che avrebbe bisogno di aperture e di libertà. È diventato internazionale e globale, ha nell’Europa una dimensione irrinunciabile, trova nell’innovazione produttiva (Industria 4.0) uno degli elementi essenziali. Eppure si possono usare le stesse parole che nel libro illustrano gli anni ’70: “Era un grande cumulo di chiacchiere, fondate su presupposti inconsistenti: nei fatti sulla negazione del mercato e sulla capacità di indirizzo del potere pubblico, il quale – chissà mai perché? – doveva essere in grado di sapere cosa fosse utile produrre e cosa no. Il tutto era ordinato secondo una gerarchia di valori, con un sottofondo ‘moralistico’ e ‘anticonsumistico’, in nome di una concezione berlingueriana dell’austerità”.



L’austerità berlingueriana è ormai affidata ai libri di storia, mentre risorge dalle ceneri una tentazione statalista ammantata dal richiamo a una volontà popolare fatta più di negazioni e di proteste che di volontà di costruire il nuovo. Certo, guardando al passato, la storia del sindacato è fatta anche di successi, di visioni profetiche, di volontà di difendere la vera dignità del lavoro. E i passi falsi, emblematico il caso Fiat, costituiscono comunque elementi che hanno portato il sindacato a costruttive autocritiche.

Resta il fatto che lo stesso sindacato è chiamato proprio in questa fase a nuove assunzioni di responsabilità. Come afferma Giorgio Benvenuto nell’introduzione, “l’egualitarismo, la riduzione dell’orario di lavoro, l’organizzazione della fabbrica, la formazione, gli scioperi, la produttività, la flessibilità avranno bisogno di nuovi strumenti, di nuove idee, di nuove alleanze”.

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