“Studia che sennò non troverai mai un lavoro”. Chi, come il vostro cronista, ha qualche anno sulle spalle, fa parte di una generazione che si è sentita ripetere all’infinito questa e consimili frasi. In fondo si sapeva: quelli bravi (che non eri mai tu, ma sempre l’odiosissimo figlio del vicino che, maledetto lui, era bravo a calcio, in latino e pure a catechismo) facevano strada nella vita e diventavano ricchi e famosi. Quelli bravi con le mani (e anche qui non eri mai tu) mettevano su la fabbrichetta e facevano i danée. Insomma, se eri giovane e studiavi o ti impegnavi un futuro ce l’avevi. Oggi no.



Solo al Meeting di Rimini si può passare una mattinata a chiedersi quale futuro ci sia per i nostri giovani. Che, vivaddio, per studiare studiano. Voglia di lavorare ce l’hanno anche. Ma manca dove andare a lavorare. E non è mica una cosa di poco conto. Guido Canavesi, docente di Diritto del lavoro a Macerata, su questo è stato chiaro: ci sono più Italie e se in qualcuna una possibilità la scuola te la offre, in molte, troppe altre, la sola soluzione che ti viene prospettata è di andartene. Perché studiare, studi anche, ma il mercato del lavoro è più vuoto del Deserto della Morte durante una pestilenza. Colpa dei Centri per il lavoro che son gatti che non pigliano topi? Anche. Colpa degli italianissimi “canali informali” (vulgata per indicare le conoscenze e le amicizie) che li hanno sostituiti? Pure. Ma colpa soprattutto del fatto che questi, e quelli che li hanno preceduti per la verità, sono tempi in cui discutere di sviluppo e produttività provoca orticarie e pruriti fastidiosissimi. Se poi ci si aggiunge che in troppe famiglie si ha più vergogna per un figlio che va alla scuola professionale piuttosto che di quello che va a fare l’esibizionista davanti a una chiesa, è chiaro che la situazione italiana non rischia di volgere al bello in tempi accettabili.



Non che manchino esperienze dal basso di matching tra domanda e offerta, ma come ha sottolineato Vincenzo Boccia, Presidente di Confindustria, se in Italia gli Its ospitano 8.000 studenti e in Germania sono 900mila, beh una riflessione sul sistema scolastico va fatta. Ma, ha aggiunto il capo degli imprenditori italiani, smettiamola di lamentarci, concentriamoci su quel che possiamo fare e nella flat tax decontribuiamo i primi anni di assunzione di giovani a tempi indeterminato. Passiamo cioè dal piagnisteo alla soluzione.

D’altra parte, ha aggiunto Annamaria Furlan, Segretario generale della Cisl, bisogna pur dirsi quale Paese vogliamo, quale modello di società vogliamo seguire: perché il lavoro non è una tortura, ma lo strumento per la felicità personale. Tant’è che la decrescita felice è un’espressione che trova consenso solo tra i ricchi che lavorano e guadagnano. Ma tra chi il lavoro lo sogna quello slogan raccoglie decisamente meno consenso. Non è stato fatto poco per rilanciare il lavoro: c’è un Patto per la Fabbrica, si riparta da lì, dall’orientamento, dalla formazione continua, dalla bilateralità, ma se, come ha replicato Guido Canavesi, la durata media di un contratto a tempo indeterminato in Lombardia è di 16 mesi, ci si potrà solo spaventare del fatto che Centri per l’impiego tornino al pubblico: perché, ha aggiunto ancora Boccia, se il solo elemento su cui si punta per lo sviluppo è sperare nella svalutazione (cioè traduzione del vostro cronista: nella uscita dall’euro e nel ritorno alla liretta con cui si incartava facilmente il pesce e che aveva come corollario un’inflazione del denaro del 20% annuo), allora davvero si sta giocando con gli italiani. E il loro futuro.



Appunto su questo si è inserita a sua volta Furlan, che ha sottolineato come il futuro dei giovani sia il lavoro, anche perché le famiglie italiane hanno già dato, in termini di inflazione galoppante e di mutui che crescono ogni anno o in misura esponenziale. Ci si è soffermati sull’articolo 18, ma davanti alle crisi, ha detto la numero uno di via Po, l’articolo 18 non è una difesa dei lavoratori. Difenderli significa insistere, come fa la Cisl, sul passaggio da lavoro a lavoro, sulla solitudine che ogni disoccupato prova di fronte alla ricerca di lavoro, su un sistema integrato ed efficace, pubblico perché rivolto a tutti, di Agenzie per il lavoro.

Più sviluppo, più formazione, più lavoro. Semplice equazione. Ma il Governo per ora non ha ancora incontrato nemmeno una volta i sindacati: sarà, domanda che perseguita il cronista, perché è impegnato a emettere decreti e leggi che stanno rivoluzionando l’Orbe terraqueo? O sarà perché tra un tweet e un decreto, è meglio il primo, anche se con quello la gente non ci mangia? Mah.

Comunque poi si è parlato di pensioni, di produttività, di comunità, di felicità, di popolo e popolarissimo (bada bene: popolarissimo, non populismo). Ma ormai le righe sono finite. Sarà per il prossimo.

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