Caro direttore, il Decreto dignità ha già fatto parlare e discutere molto in materia di lavoro. Il mio pensiero non è quello di un tecnico, ma di un imprenditore che nota l’impronta di notevole rigidità con cui il Decreto modifica la legislazione dei rapporti di lavoro a tempo determinato.
La flessibilità è guardata con eccessiva diffidenza, dimenticandone le potenzialità positive a cui hanno ricorso e a cui sono grate tante aziende di successo. Ieri e oggi sempre di più la flessibilità è richiesta sia al lavoratore che all’azienda: trovare un equilibrio tra le esigenze dei lavoratori e quelle degli imprenditori è ciò a cui si dovrebbe tendere.
Senza voler essere eccessivamente semplicistici, quello che ci si aspetta dal decreto è il “giusto mezzo” che soddisfi entrambe le categorie interessate. Questo richiede uno sforzo di negoziazione e disponibilità al dialogo. Il Decreto dignità lo vedo troppo sbilanciato da una parte e rischia di essere un intervento controproducente. Guardare al passato e non proiettarsi verso il futuro potrebbe portare a uno stallo nell’occupazione e non a un aumento della stessa: aumenterà il numero dei giovani disoccupati, spingendo le aziende a utilizzare altre forme contrattuali molto più precarie come le collaborazioni o il lavoro nero.
Oggi viviamo in una società che si evolve rapidamente. Il lavoro ha subito la stessa evoluzione e, in questo contesto, le protezioni a favore dei lavoratori sono da ricercare nei sistemi di welfare e nella formazione continua. Ecco perché dal Decreto dignità mi sarei aspettato più attenzione per quanto riguarda il welfare aziendale, perché ritengo sia sinonimo di attenzione e riconoscimento verso i propri collaboratori.
Piramis, l’azienda di cui sono amministratore delegato, è da sempre attenta alla soddisfazione dei dipendenti, e poter integrare e ampliare sempre più il welfare aziendale darebbe ulteriore motivazione e supporto, senza dimenticare che sia l’azienda che il dipendente godrebbero di vantaggi nel quotidiano.
Ovviamente non è tutto negativo, ci sono passaggi del decreto Dignità con cui mi trovo allineato. La proroga fino al prossimo gennaio 2019 per la revisione degli statuti e anche la norma riguardante i dipendenti “molto svantaggiati” le condivido. Anche la chiarezza che è stata fatta nella parte fiscale era necessaria, sebbene sia un po’ più dubbioso sul fatto che hanno allineato l’impresa sociale a quella tradizionale i cui scopi sono ben diversi. Quando si parla di impresa sociale è doveroso non perdere di vista il fine ultimo per cui essa agisce, che è aiutare gli altri. Sono 6 milioni i volontari presenti sul territorio nazionale che donano il proprio tempo a questo scopo e, al di là degli interventi legislativi, quello che deve rimanere invariato è lo spirito di solidarietà con cui si opera.
Essere imprenditore ha per me un valore sociale: è un impegno nei confronti della società e dei collaboratori stessi. L’obiettivo di ogni imprenditore dovrebbe essere quello di creare nuovi posti di lavoro dando la possibilità a ognuno di migliorare la propria posizione e di perseguire e raggiungere i propri scopi.