Ha ragione Mario Draghi. Gli scalzacani (la definizione è solo mia) che ci governano hanno fatto dei danni con le parole. Ora è venuto il momento dei fatti. E la confusione è tanta. Soprattutto in materia di pensioni non passa giorno senza che non emergano delle novità. Una cosa però sembra chiara. Come il decreto dignità non ha ferito a morte il pacchetto legislativo del Jobs act, limitandosi – il che è stato comunque gravissimo – a martoriare la riforma dei contratti a termine, così i provvedimenti che si annunciano sulle pensioni – sia pure provocando anch’essi danni alle finanze pubbliche e alle generazioni future – non cancelleranno del tutto la riforma Fornero, ma si limiteranno a introdurvi qualche discutibile e negativa modifica.
Eppure questi suonatori di violino con i piedi hanno raccontato al mondo (e alla plebe che li ha votati e continua ad accorrere sotto i loro vessilli) che faranno strame della disciplina del 2011. Per quello che se ne sa, l’ipotesi di quota 100 continua ad avere conferma, ma dovrebbe essere oberata da limiti non solo riguardanti l’età dell’accesso (che non sarebbe più inchiodata a 62 anni), ma anche lo stesso requisito contributivo. In sostanza, si prefigura una soluzione più flessibile che potrebbe però far lievitare la quota fatidica di qualche unità.
Se questa pare essere al momento l’approdo di sterili vaniloqui che ci hanno tediato per mesi, fa capolino anche un’ipotesi di minima in forza della quale i nuovi requisiti varrebbero solo per le situazioni di difficoltà, prendendo il posto delle misure riconducibili all’Ape sociale e ad analoghi provvedimenti. Il tutto accompagnato da una riverniciatura dei fondi professionali (materia ampiamente regolata dai decreti attuativi del famigerato Jobs act) che si prenderebbero a carico gli esuberi fino ad accompagnarli alla pensione. Si dice che un’ipotesi siffatta sarebbe gradita alla Confindustria perché – pur essendo onerosa per le aziende – consentirebbe di ridurre strutturalmente gli organici e, ove possibile, rinnovare la forza lavoro. È comunque difficile fare previsioni perché le scelte da compiere continuano a essere dettate dalla campagna elettorale permanente in cui è impegnata la maggioranza, in competizione tra le due anime (dannate) che la compongono. Inoltre, è sempre più evidente che nella coalizione giallo-verde non c’è soltanto una lottizzazione delle poltrone, ma anche delle politiche. Se nei Patti di Yalta (il contratto per il cambiamento) una particolare materia è assegnata all’influenza di una delle due forze politiche, l’altra evita di intromettersi. A Matteo Salvini hanno lasciato – nonostante i mal di pancia di Roberto Fico peraltro accontentato con la fatwa sui vitalizi degli ex deputati – mano libera sull’immigrazione e sulla cosiddetta politica della sicurezza. Il Truce ha ricambiato facendo lo gnorri sul testo del decreto dignità, nonostante la protesta di settori economici vicini alla Lega. Sulla questione del ponte di Genova il pallino lo tiene – e si vede dalla confusione imperante – il M5S, come su tutte le grandi opere pubbliche contestate dal grillismo militante. Poi ci sono le due grandi ripartizioni: la flat tax (o almeno ciò che ne resta) con annesso condono (s)mascherato, da un lato; il reddito di cittadinanza, dall’altro.
Nel campo delle pensioni, invece, i confini sono più indefiniti. Oltre alle quote di marca leghista continua a circolare – nonostante le giuste critiche di Alberto Brambilla – il fantasma della pensione di cittadinanza. Ma c’è di più. La Lega ha condiviso un pdl di iniziativa parlamentare (AC 1071) insieme con il M5S che, col pretesto di punire le pensioni d’oro, rischia di penalizzare in modo retroattivo quei trattamenti anticipati che il Carroccio ha difeso strenuamente, nel tempo, anche a costo di far cadere due governi di centrodestra, nel 1994 e nel 2011. Questo pdl ha iniziato il suo iter in Commissione Lavoro alla Camera. È sempre più difficile orientarsi. Ma il vero sconforto proviene dai sondaggi elettorali. Mi sono ricordato di un episodio che mi capitò a Mosca ai tempi dell’Urss. Notai che in albergo c’era una specie di portiera a ogni piano (probabilmente un’informatrice del Kgb) che restava alla sua scrivania giorno e notte ed era sempre la stessa. Ne chiesi conto ai miei accompagnatori che mi risposero che la signora lavorava solo per tre giorni consecutivi alla settimana e aveva il permesso di dormire. Al che io obiettai che così non avrebbe fatto la guardia e che forse sarebbe stato meglio organizzare dei turni. Il mio ospite mi rispose, sbrigativo e un po’ seccato, che alle loro donne stava bene così. Non è quello che dice di questo governo la maggioranza degli italiani?