La nota della Corte Costituzionale, nella quale si annuncia la sentenza che di fatto boccia un pezzo importante del Jobs Act renziano (ovvero quello relativo all’illegittimità dei criteri per determinare le indennità nei casi di licenziamenti per giusta causa), apre una nuova crepa in quella che è stata una delle riforme-cardine del passato esecutivo e arriva nel giorno in cui il Movimento 5 Stelle, con un post apparso sul Blog delle Stelle, è tornato a parlare della legge. A detta dei pentastellati, infatti, la decisione della Consulta smonta di fatto ancora un pezzo della riforma fortemente voluta dall’ex premier e fortemente osteggiata non solo dalle altre forze di sinistra ma pure da quelle sociali e i sindacati, tanto che si parla di “colossale fallimento” da parte di chi adesso “ha la faccia tosta di aprire bocca per criticare il nostro reddito di cittadinanza”. Nel posto si legge anche come in tre anni dal varo del Jobs Act poco o nulla sia cambiato nel mercato del lavoro e delle politiche attive relative a quest’ultimo: “Corsi di formazione mai attivati, banche dati che non comunicano tra loro: i cittadini sono stati truffati!”. Il post si conclude con la promessa che l’avvento del Reddito di Cittadinanza, cavallo di battaglia dei grillini, “cambierà le cose riformando i Centri per l’Impiego e che sarà una colonna portante della #ManovraDelPopolo” che questo Governo si appresta a varare. (agg. di R. G. Flore)
CONSULTA SMONTA UN “PEZZO” DELLA RIFORMA
Gli articoli a cui il Jobs Act andrebbe contro sarebbero il 4 e il 35 della nostra Costituzione, ovvero quelli che tutelano il diritto al lavoro e con la breve nota di oggi in cui la Consulta ha pubblicato il suo giudizio viene di fatto smontato un pezzo importante di Jobs Act, una delle più importanti riforme varate dal Governo Renzi. La Consulta ha infatti dichiarato illegittimo il sistema di calcolo dell’indennizzo in caso di licenziamento ingiustificato, aspetto sul quale il recente Decreto Dignità ha peraltro legiferato stabilendo che lo stesso indennizzo deve essere pari ad almeno sei mensilità e fino a un tetto massimo di 36. Intanto, in attesa della sentenza completa che verrà resa nota solamente nei prossimi giorni (va ricordato che tutte le altre questioni relative ai licenziamenti sono state ritenute infondate), resta da capire quali saranno le conseguenze di questa decisione, con una probabile maggiore autonomia da parte dei giudici nel determinare l’ammontare dei suddetti indennizzi, anche nel caso di cause ancora in corso e non solamente quelle future. (agg. di R. G. Flore)
LA CONSULTA BOCCIA NORMA DEL JOBS ACT
Jobs Act, Corte Costituzionale: “Illegittimo criterio indennità licenziamento”: arriva il verdetto della Consulta sull’articolo 3, comma 1, del decreto legislativo n.23/2015. Come evidenziato da Repubblica, la Corte Costituzionale ha affermato che “la previsione di un’indennità crescente in ragione della sola anzianità di servizio” è contraria ai principi di ragionevolezza e uguaglianza. Il testo preso in considerazione si riferisca all’articolo “sul contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, nella parte che determina in modo rigido l’indennità spettante al lavoratore ingiustificatamente licenziato”. Nel Jobs Act si prevedeva che il datore di lavoro era condannato a pagare un’indennità “non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità”.
VIOLA DUE ARTICOLI
La motivazione della Corte Costituzionale precisa che “la previsione di un’indennità crescente in ragione della sola anzianità di servizio del lavoratore è, secondo la Corte, contraria ai principi di ragionevolezza e di uguaglianza e contrasta con il diritto e la tutela del lavoro sanciti dagli articoli 4 e 35 della Costituzione”, riporta Repubblica. Il Jobs Act è finito nel mirino del recente Decreto dignità di Luigi Di Maio, che ha rivisto il quantum minimo e massimo degli indennizi. Non è stato però ritoccato il meccanismo di determinazione, ancorato all’anzianità di servizio: non è stato dunque risolto il problema sollevato dalla Consulta. Per quanto riguarda i casi di licenziamento, sono stati ritenuti “inammissibili o infondate” e la sentenza “sarà depositata nelle prossime settimane”.