Gennaio a Kuala Lumpur, febbraio a Lima, marzo a Lisbona, poi a Bangkok, Belgrado, Cape Town o Hanoi. Lavorare vivendo un mese a rotazione in una diversa città del mondo. Non è un anno sabbatico a zonzo per il pianeta e neppure una rivisitazione della vacanze studio, è invece una formula di smart working dall’estero che si diffonde nella tribù dei nomadi digitali. Sviluppatori di App, web designer, insegnanti su piattaforme online, consulenti e free lance, conciliano il sogno di esplorare nuove realtà metropolitane rimanendo produttivi perché possono svolgere la propria attività a distanza, lontano anche mezzo globo dai propri clienti e mercati di riferimento, a loro basta solo una connessione internet.
In generale sono trentenni con professioni e carriere avviate, stufi della routine, in cerca di nuovi stimoli in luoghi, incontri e culture diversi. Il classico “mollo tutto” però nella continuità della propria attività professionale. Tuttavia al fascino dell’ignoto si contrappongono le difficoltà organizzative da affrontare da soli, come trovare un ufficio temporaneo, decidere il piano tariffario più adatto o individuare le cose imperdibili in una città di un continente in cui magari non si è mai messo piede, in un Paese di cui non si parla la lingua e non si conoscono consuetudini locali. Sono fastidiosi impegni che sottraggono tempo a quello della professione e anche una fatica sprecata visto che in capo a poco sarebbe tutto da ricominciare altrove.
“Spegnere il laptop un venerdì notte ad Hanoi e riaccenderlo il lunedì seguente a Kyoto senza nessuna interruzione”, spiega Valeria Candeloro, dirigente di Mood Media società di ricerca e consulenza marketing, che l’anno scorso, ha lavorato da 12 città diverse nonostante l’inquadramento aziendale. “Sono grata all’apertura mentale della mia azienda”, riconosce l’unica italiana coinvolta che però ha scoperto questo format lavorativo a Londra. Sebbene il target siano i liberi professionisti, l’evoluzione del concetto di carriere attraverso percorsi innovativi inducono multinazionali come Microsoft, NTTData, Unilever, Nielsen, Boehringer Ingelheim, per citare solo le più grandi, a considerare per i propri dipendenti questo genere di esperienze lavorative decentrate e ambulanti.
Nascono così alcune organizzazioni: Remote Year, Hacker Paradise, The Remote Life, Unsettled, Wifi Tribe specializzate nel pacchetto logistico per vivere periodi al mese all’anno, l’esperienza di nomadismo lavorativo in modo collettivo, con gruppi compositi di 30/50 professionisti, i quali, in valigia, trasportano anche il proprio portafoglio di clienti e progetti. Leader di queste start-up è Remote Year, nata per caso nel 2014 da due trentenni di Chicago che, quasi per scherzo, un giorno pubblicarono in rete un annuncio proponendo di entrare a far parte di una comunità che avrebbe fatto base ogni mese in una capitale diversa. In meno di un mese, Sam Pessin e Greg Caplan (quest’ultimo vanta la fondazione di una piattaforma di e-commerce acquistata poi da Groupon) raccolgono oltre 50mila adesioni. Dopo un’accurata selezione parte il primo gruppo di 50 professionisti globe-trotter. Due anni dopo, la start-up è lanciata e recentemente, rastrellato 12 milioni di fondi di venture capital. Presente con il suo team in 14 capitali e ha a oggi gestito i trasferimenti di oltre 1.000 persone.
Micheal Youngblood ritiene che il successo di crescita individuale e sviluppo professionale che deriva da un’esperienza di co-working itinerante sia la combinazione di diversi fattori dove su tutti vince l’attivismo della comunità. “Devi essere motivato a collaborare, ad aprirti agli altri, a condividere”, spiega Youngblood, pubblicitario freelance che ha tratto dalla sua storia personale l’ispirazione per fondare Unsettled nel 2013. “Seguivo un unico cliente, il MIT di Boston, senza mai mettere piede nel campus e mi pesava la solitudine di una routine di lavoro senza colleghi”. Un po’ per celia, un po’ per sfida, lancia un invito su Facebook: quanti sono disposti a soggiornare per qualche mese sull’isola di Bali lavoro durante la settimana e turismo il fine settimana. Non sperava trovare più di 5 o 6 accompagnatori, invece aderirono in 42. Tre anni dopo, Youngblood si struttura e ora organizza mediamente 4 gruppi l’anno. I partecipanti pagano, a seconda della destinazione e durata dell’espatrio, dai mille ai 2.000 dollari che comprendono gli spostamenti, l’alloggio privato, uno spazio di lavoro condiviso, una connessione a banda larga, escursioni e incontri per immergersi nella vita locale. Per tutti l’idea è divertirsi lavorando in giro mantenendo sempre il focus sulla produttività.