I fratelli De Rege (Guido detto Bebè, il maggiore, e Giorgio detto Ciccio, il minore) furono una celebre coppia di comici negli anni Trenta del secolo scorso. Il loro repertorio, passando dal teatro alla televisione, venne ripreso, trent’anni dopo, da Carlo Campanini e Walter Chiari.
In tempi recenti vi è stato un remake di quella esperienza: ma i due nuovi imitatori sono impegnati in politica e occupano la carica di vice presidente del Consiglio dell’esecutivo Conte (anch’esso un personaggio letterario pirandelliano: uno, nessuno, centomila). I due, dopo avere, in questi mesi, prodotto più danni con dichiarazioni avventate che con atti di governo, si apprestano alla presentazione della legge di Bilancio 2019, nella quale si sentono in obbligo di ottemperare a qualcuna delle promesse dissennate fatte durante la campagna elettorale e riprese nel contratto per il cambiamento. Le circostanze dimostrano che, sia pure con posizioni e priorità diverse sui singoli argomenti, i nuovi fratelli De Rege coltivano la medesima strategia (creare una situazione di insostenibilità per la nostra permanenza nell’Unione e nell’area euro), ma non hanno ancora scelto la tattica da seguire. In ogni caso, sono convinti di vincere (facile) comunque.
È per questi motivi che non sarebbe corretto parlare di un Piano A e di un Piano B, perché il secondo non è subordinato al fallimento del primo, ma al divenire delle circostanze che potrebbero determinare condizioni di convenienza politica per uno o per l’altro progetto. A monte, però, vi è una scelta da compiere: è più utile forzare adesso la mano finanziando con un disavanzo superiore al 3% del Pil il carnet programmatico di ambedue gli azionisti della maggioranza oppure è meglio sollevare un gran polverone propagandistico, tenendo un profilo basso sul versante delle controriforme, ma accusando l’Europa, i mercati, le forze demoplutocratiche, George Soros, lo spread di aver pugnalato alle spalle gli italiani privandoli del loro diritto al reddito e alla pensione di cittadinanza, alla revisione radicale della riforma Fornero e alla flat tax?
Questa seconda linea di condotta potrebbe essere molto redditizia per affrontare le prossime elezioni europee, in occasione delle quali l’internazionale sovranpopulista si propone di sconvolgere il tradizionale quadro politico dell’Unione, fondato sull’alternanza tra popolari e socialisti, con una presenza significativa dei liberaldemocratici dell’Alde.
Tutto lascia credere che i fratelli De Rege si avvarranno di ambedue le opportunità. Apriranno un fronte polemico con l’Unione per ottenere il massimo di flessibilità; si adegueranno ad accettare dei margini tali da evitare una rottura clamorosa, ma lo faranno portandosi appresso una ridda di polemiche cariche di ritorsioni verso l’Europa matrigna.
Intanto, bisognerebbe capire che cosa succederà in materia di pensioni, dopo che Itinerari previdenziali – di cui è patron Alberto Brambilla, riconosciuto come esperto della Lega in materia di welfare – ha nettamente e inesorabilmente stroncato il progetto di legge (AC 1071) dei due capigruppo di maggioranza alla Camera (D’Uva per il M5s e Molinari per la Lega).
Quanto al decreto dignità, vedremo tra poco i suoi effetti. Non possono certo essergli attribuiti — per ovvi motivi — i 140mila contratti a tempo indeterminato in più censiti nei primi sei mesi dell’anno.
A questo proposito merita di essere notato un aspetto sfuggito ai commentatori. Meno del 7% di questi contratti ha usufruito del bonus Gentiloni (per le nuove assunzioni) rifinanziato nel decreto Di Maio. Ciò sta a significare almeno due cose. La prima: che nel mercato del lavoro avviene dopo un certo arco di tempo una trasformazione “naturale” dei contratti a termine in rapporti stabili (non a caso l’84% dei lavoratori dipendenti italiani — dati di stock — lavora a tempo indeterminato). La seconda: che alle imprese interessano fino a un certo punto le decontribuzioni finalizzate alle assunzioni.
Si conferma ancora una volta ciò che diceva Marco Biagi: nessun incentivo economico è in grado di compensare un disincentivo normativo.