La cosa interessante della Pernigotti sarebbe la produzione. Nel senso dei buonissimi dolci che produce(va?). Se non fosse che questa media azienda italiana (occupa un centinaio di dipendenti) ha avuto la sfortuna di assurgere all’onore delle cronache e, per la precisione, di diventare un “oggetto di riflessione politica”. Il che tradotto significa che tutto diventa più difficile, ogni mossa e movimento si trasforma in simbolo. E si sa che con i simboli non si ragiona. Eppure ci sono dietro un centinaio di famiglie: e quindi speranze, progetti, mutui bancari.
Il tema è presto detto, anche se tutti lo conoscono: la proprietà turca ha deciso di lasciare in Italia poco o nulla della produzione e di continuare a sfornare cioccolattini e dolcetti in Turchia sempre con il marchio Pernigotti. I sindacati hanno chiesto che l’azienda passi la mano a quei gruppi che si sono fatti avanti e che si sono dimostrati interessati a subentrare, ma qui sono nate le prime difficoltà. Perché i proprietari non vogliono vendere il marchio e chi entra ha invece interesse soprattutto a esso. Oddio, ci sono anche imprese che si sono dette pronte anzitutto ad acquistare i macchinari, ma per ora questa sembra una opzione un po’, diciamo, “sullo sfondo”.
Il Governo, ve l’abbiamo detto che si tratta ormai di un caso mediatico, ha convocato le parti al Ministero e, meraviglia delle meraviglie, per ora non ha trovato soluzioni. Ha però promesso: per bocca del ministro del Lavoro Di Maio nel corso di un incontro con i lavoratori, i sindacati e il sindaco di Novi Ligure, che per affrontare situazioni simili a quella dello stabilimento piemontese il Governo lavorerà a una proposta di legge in grado di legare i marchi del made in Italy ai territori, per evitare le delocalizzazioni e le pesanti ricadute occupazionali.
In attesa che questa legge veda la luce e dia i suoi frutti (spero ci perdonerete i tanti dubbi su una proposta di questo genere e sulla sua fattibilità), il problema resta tale e quale: il rinvio a febbraio della Cassa integrazione deciso qualche giorno fa sposta i termini della questione di qualche settimana, ma non fa fare passi avanti in direzione di una qualunque soluzione. Ci permettiamo di fare qualche riflessione.
Il caso Pernigotti è del tutto simile a quello di centinaia di altre piccole e medie imprese. Confrontate con il mercato internazionale ne subiscono la legge: nel mare grande nuotano molti pesci grandi, ma ci sono anche moltissimi pescatori. Nel mare piccolo si trovano pochissimi pesci e spesso per lo più di piccola dimensione, ma ci sono pochi pescatori. Fuor di metafora: sul mercato mondiale ci sono più spazi, ma anche più concorrenti. Solo che l’alternativa, stare nel mercato italiano, conduce a una morte perfin più certa. Perché all’autarchico appello di salviniana memoria “prima gli italiani” fanno eco gli appelli che si levano da tutti gli altri Paesi “prima i nostri cittadini”. L’egocentrismo in economia non genera ricchezza. Anzi, non genera proprio. In questa prospettiva i turchi pensano ai turchi, gli italiani agli italiani e così via. Ma le nostre imprese sono di dimensioni medio piccole e sovente fanno la fine dei tonnetti in un gruppo di squali. Andrebbero rafforzate con politiche industriali, sostegno bancario, politiche di accompagnamento sui mercati internazionali. Ci vorrebbe un piano energetico nazionale. Vabbè, no comment.
Perché il punto non è tanto la perdita di un marchio, quanto il fatto che non si vede come reindustrializzare il sito di Novi Ligure, come formare i lavoratori dando loro nuove prospettive. In generale come mantenere un tessuto produttivo nella penisola. Si potrebbe certo ragionare in termini europei, ma, diciamo così, questo non ci pare proprio il Governo con le idee più chiare in materia! Eppure se c’è un sistema che garantisce la concorrenza è proprio quello dell’Ue, se c’è una legislazione che tutela comportamenti corretti e idee innovative, che finanzia progetti all’avanguardia, è quella europea.
Certo, se poi si passa il tempo a insultare i propri partner, se ci si diverte a incitare gli allegri teppistelli in salsa gialla (o meglio giallo-nera…) che devastano Parigi, non ci si può poi stupire se il miglior acquisto fatto negli ultimi anni da un’azienda italiana, parliamo dei cantieri navali della Stx, rischia per saltare: quando ci si mette a fare a pugni bisogna esser certi di essere i più forti e non bastano le rodomontate. Se l’accordo è che per conquistare la maggioranza di un sistema di punta, all’avanguardia, che ha accesso a finanziamenti multimiliardari, il Governo francese deve cederti il suo 1%, l’idea di andare a incitare gli adepti di Marina Le Pen ad assaltare le sedi governative parigine non è proprio la più geniale tra tutte! Poi puoi lamentarti: ma in fondo non fai altro che confermare che se tu ministro continui a guardare solo ai tuoi interessi di bottega elettorale, chi ci rimette erano, sono e saranno sempre quelle cento famiglie di Novi Ligure che vorrebbero solo poter lavorare e che dei gilet giallo-neri e delle manovre turco-russe se ne fregano altamente.