BOTTA-RISPOSTA TRA DI MAIO E I SINDACATI

Continua la protesta dei sindacati contro la misura di riforma delle pensioni che interviene sulle indicizzazioni con un blocco parziali per gli assegni sopra i 1.500 euro al mese. “Questo esecutivo come gli altri che lo hanno preceduto, vuole risparmiare sui tantissimi cittadini pensionati. Non devono fare cassa su di noi”, è la posizione espressa da Spi-Cgil, Fnp-Cisl e Uilp-Uil. Luigi Di Maio ha cercato ancora una volta di respingere le critiche. “Diciamo una cosa ai cittadini italiani: le uniche pensioni che saranno toccate sono le pensioni d’oro, che per noi sono da 4.000 euro netti in su. Tutti gli altri con l’aumentare dell’inflazione avranno l’aumento delle pensioni anche nel 2019”, ha spiegato il vicepremier durante la puntata di “Stasera Italia”, la trasmissione di Rete 4, in onda ieri. Tuttavia sempre i sindacati hanno ricordato che il punto è che “a differenza di quanto previsto, non sarà ripristinata la rivalutazione delle pensioni bloccata dal 2011. Ci sarà un nuovo sistema di riduzione della perequazione per gli importi superiori a 1500 lordi al mese”. Quindi è vero che si prenderanno più soldi, ma meno di quelli cui si avrebbe avuto diritto.



QUOTA 100, DECRETO ENTRO 10 GIORNI

Secondo quanto scrive Il Sole 24 Ore, il decreto relativo alla riforma delle pensioni con Quota 100 e al reddito di cittadinanza sarebbe quasi ultimato e il Governo potrebbe esaminarlo in un pre-Consiglio dei ministri dell’8 gennaio per approvarlo poi entro il 12 gennaio. Per il quotidiano di Confindustria ci sarà una battaglia piuttosto forte tra maggioranza e opposizione per far sì che il decreto possa essere convertito nel più breve tempo possibile, visto che nei piani dell’esecutivo le misure dovrebbero entrare in vigore dal 1° aprile. Inoltre, sulla Quota 100 potrebbe esserci un faro acceso della Commissione europea, preoccupata del fatto che la spesa pensionistica in Italia possa crescere troppo. E a farla crescere potrebbero contribuire anche le pensioni di cittadinanza e il blocco dell’aumento dei requisiti per l’accesso alla pensione di anzianità, provvedimenti che saranno oggetto del decreto cui l’esecutivo sta lavorando. Il Sole 24 Ore segnala anche una grana che rischia di aprirsi per il Governo: il contributo di solidarietà per le pensioni più alti, secondo Alberto Oliveti, Presidente dell’Adepp, non troverebbe applicazione per le Casse dei professionisti. Vedremo se l’esecutivo dirà la sua sul tema.



PER CHI NON SCATTA L’AUMENTO DEI REQUISITI

È scattato l’aumento dei requisiti pensionistici in base all’aspettativa di vita e l’Inps, nella circolare 126 emanata il 28 dicembre scorso, ha ricordato che questo incremento non riguarda alcune categorie di lavoratori. Si tratta di quelli che sono stati individuati dalle misure di riforma delle pensioni varate a fine 2017, ovvero le 15 categorie di cosiddetti lavoratori gravosi, e dei “lavoratori addetti a lavorazioni particolarmente faticose e pesanti” come da decreto legislativo del 2011. Resta il fatto che per accedere alla pensione questi lavoratori devono avere almeno 30 anni di contributi e che nel caso dei lavori gravosi l’attività deve essere svolta  da almeno sette anni nell’arco degli ultimi dieci. L’esclusione dell’incremento non riguarda invece i lavoratori precoci. In attesa del promesso intervento del Governo, per loro occorrono 41 anni e 5 mesi di contribuzione e non più 41 come fino alla fine del 2018. Nella circolare si legge anche che “a decorrere dal 1° gennaio 2019, ai soggetti che al momento del pensionamento sono titolari dell’indennità di Ape sociale non si applica l’esclusione dall’adeguamento alla speranza di vita”.



RISCHIO ESODO DEGLI STATALI

Il 2019 potrebbe essere l’anno del grande esodo degli statali. Lo scrive Il Messaggero, ricordando che tra i dipendenti della Pubblica amministrazione l’età media è piuttosto elevata e quindi ci potrebbero essere diversi lavoratori con i requisiti in regola per usare Quota 100. La riforma delle pensioni rischia tuttavia di lasciare penalizzati quanti prestano servizio nelle scuole, in quanto difficilmente riusciranno ad andare in pensione prima di settembre 2020, a meno che una disposizione che il Governo potrebbe varare con il decreto su Quota 100 non consenta loro di accedere già alla fine di quest’anno scolastico alla quiescenza. Il quotidiano romano cita comunque fonti del Miur secondo cui sarebbero circa 40.000 gli insegnanti che avrebbero i requisiti richiesti (soprattutto sul fronte dell’anzianità contributiva) per poter utilizzare Quota 100. In tutti casi andrebbero predisposti dei nuovi concorsi nella Pa per consentire di sostituire quanti andranno in pensione quest’anno.

I DATI SULLE PENSIONI DI REVERSIBILITÀ

Non molto tempo fa si era parlato della possibilità che la riforma delle pensioni potesse anche toccare gli assegni di reversibilità. Un’ipotesi che non è mai stata presa in considerazione dall’attuale Governo. Truenumbers ha però proposto alcuni dati relativi alle pensioni di reversibilità nei paesi Ocse, evidenziando come mediamente esse abbiano un costo pari all’1% del Pil, mentre in Italia raggiungono il 2,6%. Una delle ragioni per cui altrove la spesa per gli assegni di reversibilità è più bassa è che vi è una maggior partecipazione delle donne al mercato del lavoro, cosa che di fatto limita la possibilità che abbiano diritto anche alla pensione di reversibilità. Inoltre, in alcuni paesi, come la Germania e il Belgio, sono stati rivisti i criteri di accesso alla prestazione. Resta da capire se in Italia si arriverà mai a una revisione dell’istituto. Anche se c’è da dire che al momento nulla di questo sembra intravvedersi, se non magari l’utilizzo dell’Isee come strumento per poter stabilire l’importo cui si ha diritto.

RIFORMA PENSIONI, LE PAROLE DI POLILLO

Sembra che più che Quota 100 a far discutere maggiormente in tema di riforma delle pensioni sia il contributo di solidarietà che colpirà gli assegni sopra i 100.000 euro l’anno. Secondo Gianfranco Polillo, il Movimento 5 Stelle, dopo la sconfitta subita in Europa, dove ha dovuto scendere a patti con la Commissione europea e cambiare la manovra finanziaria, “si è vendicato a danno di una fascia più che ristretta di pensionati italiani. Si tratta, secondo la Relazione tecnica, di 24.287 persone”. L’ex sottosegretario all’Economia, in un intervento su formiche.net, ricorda che Claudio Durigon aveva parlato di un’aliquota massima del 20% per il prelievo: una percentuale che Luigi Di Maio e i suoi hanno pensato di raddoppiare proprio quando hanno capito che sarebbero stati costretti a fare retromarcia sul deficit al 2,4% del Pil.

Ma non è tutto, perché ci sono degli studi che “hanno mostrato come lo squilibrio tra quanto versato e quanto ricevuto, sotto forma di pensione, sia massimo per le rendite che oscillano intorno ai 2.000 euro mensili. Mentre per quelle superiori a 6 mila euro si abbia una sostanziale equivalenza”. Dunque non sembrerebbe esserci molto da tagliare e, oltretutto, se la logica è quella di punire gli assegni di importo non corrispondente ai contributi versati, allora sarebbero altri i pensionati da colpire. Ecco quindi quello che Polillo definisce “il ginepraio creato dalla voglia di ‘vendetta’ dei 5 stelle. È un altro piccolo smottamento dello ‘stato di diritto’ della nostra tradizione giuridica. Dalle conseguenze imprevedibili”.