LE PAROLE DI BOERI

Manca poco alla scadenza del suo mandato e Tito Boeri, intervistato da Repubblica, non rinuncia a dire quello che pensa della riforma delle pensioni. Dal suo punto di vista Quota 100 “crea un’ennesima disparità fra i maschi nati prima del 1959 e tutti gli altri e non smantella assolutamente la legge Fornero. Proponevamo di intervenire sulle pensioni dei sindacalisti restaurando parità di trattamento con gli altri lavoratori. Ma anche questo governo sta andando in un’altra direzione. Lasciare che pensioni anche pari solo a tre volte il minimo vengano erose dall’inflazione e tagliare in modo indiscriminato le pensioni alte, comprese quelle pagate da una vita di contributi, vuol dire agire ‘non per equità, ma per cassa”. Il Presidente dell’Inps commenta anche la scelta di “dirottare” le risorse destinate alle buste arancioni verso i compensi dei membri del Cda contenuta nel “decretone”: “Dobbiamo informare i cittadini dei pro e contro di una scelta irreversibile come quella di andare in pensione prima. E non c’è alcun bisogno di attingere a quel capitolo: solo nel 2018 abbiamo fatto risparmi per circa 30 milioni sulle spese di funzionamento da cui si poteva agevolmente attingere per pagare i consiglieri”.



QUOTA 100, OLTRE 40.000 DOMANDE ALL’INPS

Hanno superato la soglia delle 40.000 unità le domande all’Inps per accedere a Quota 100, con ancora Roma e Napoli in vetta alle città di provenienza delle richieste. Le donne sono ancora in netta minoranza, circa 8.600 a fronte di oltre 31.000 uomini. Anche per questo la Lega ha proposto, con un emendamento al decreto sulla riforma delle pensioni all’esame del Senato, di aumentare di 4 mesi l’età contributiva delle donne per ogni figlio avuto, fino a un massimo di un anno di “sconto” sul requisito pari a 38 anni. Difficile che questo intervento possa “ribaltare” lo squilibrio esistente, ma potrebbe aiutare, unito magari al riscatto della laurea, l’avvicinamento a Quota 100 per diverse italiane. Il Carroccio ha inoltre proposto di alzare da 30.000 a 45.000 euro la soglia massima di anticipo sulla liquidazione che i dipendenti pubblici potrebbero ottenere per l’accesso a Quota 100. Anche se sembra che al momento resterebbero escluse dalla possibilità di richiedere tale anticipo le dipendenti pubblici che utilizzeranno Opzione donna.



LE PENSIONI DEI SINDACALISTI

Tra gli emendamenti al decreto relativi alla riforma delle pensioni con Quota 100 ce n’è anche uno del Movimento 5 Stelle che mira a far sì che il trattamento pensionistico dei sindacalisti sia uguale a quello della categoria professionale di riferimento. La norma tra l’altro opererebbe in maniera retroattiva dal 2003. Secondo Roberto Ghiselli, “è in corso una feroce campagna mediatica contro ‘le pensioni d’oro’ dei sindacalisti con l’unico scopo di screditare il sindacato. Una campagna diffamatoria basata sul nulla poiché non esistono regole di favore e ‘pensioni d’oro’ per i sindacalisti”. Il Segretario confederale della Cgil, stando a quanto riporta il sito di Rassegna sindacale, ricorda anche che ad agosto “invitammo il ministro Di Maio a un confronto su questo argomento e quell’invito è caduto puntualmente nel vuoto”. “Se il ministro decidesse di abbandonare la propaganda e fosse disponibile ad aprire questo confronto, ne saremmo felici”, aggiunge il sindacalista, ricordando anche che da tempo sono state avanzate proposte per migliorare le norme esistenti in materia.



I DATI ISTAT

Mentre in Senato continua l’esame del decreto relativo alla riforma delle pensioni con Quota 100, l’Istat ha diffuso i dati relativi alle condizioni di vita dei pensionati, dai quali emerge che in Italia nel 2017 si contavano 16 milioni di pensionati, 23.000 in meno rispetto all’anno precedente e ben 738.000 in meno rispetto al 2008, che percepivano un assegno medio lordo pari a 17.886 euro (306 in più rispetto all’anno precedente). Netta però la differenza di genere. Le donne erano infatti il 52,5% dei pensionati, ma con un assegno mediamente più basso di 6.000 euro l’anno rispetto agli uomini. Secondo l’Istat, “continuano ad ampliarsi le differenze territoriali: l’importo medio delle pensioni nel Nord-est è del 20,7% più alto di quello nel Mezzogiorno (18,2% nel 2016, 8,8% nel 1983, primo anno per cui i dati sono disponibili)”. Inoltre, “il cumulo di più trattamenti pensionistici sullo stesso beneficiario è meno frequente tra i pensionati di vecchiaia – riguarda il 28,2% dei pensionati – mentre è molto più diffuso tra i pensionati superstiti (67,4%), in grande maggioranza donne (86,5%)”.

LE PROPOSTE DI RIZZETTO

Il decreto relativo alla riforma delle pensioni con Quota 100 e al reddito di cittadinanza è ancora al Senato, all’esame della commissione Lavoro, ma Walter Rizzetto annuncia già che quando il provvedimento arriverà alla Camera presenterà degli emendamenti “che andranno a certificare di fatto quanto ho sempre portato avanti in questi anni: quota 41, ultimi esodati ed esodati postali, costo del lavoro ed abbattimento del cuneo fiscale”. Intervistato da pensionipertutti.it, il deputato di Fratelli d’Italia spiega anche che per Opzione donna ha però in mente qualcosa di particolare, perché dal suo punto di vista la misura “deve essere strutturale e non solo una finestra, in ogni caso tenderò ad ampliare la platea delle beneficiarie”. Rizzetto sottolinea anche che se “non riuscissimo a spuntare nulla, mi auguro che il Ministro del Lavoro intenda cedere almeno sui lavoratori precoci ed appunto sui residui esodati”. Come noto, infatti, ce ne sono circa 6.000 che sono rimasti esclusi dalle otto salvaguardie finora varate.

RIFORMA PENSIONI, LA RICHIESTA DEL CODS

Una delle principali critiche rivolte alla riforma delle pensioni con Quota 100 è che essa penalizza le donne, che difficilmente raggiungono i 38 anni di contributi necessari all’accesso alla quiescenza. Orietta Armiliato, dalle pagine del Comitato Opzione donna social, in questi giorni ha rilanciato la necessità di arrivare a un riconoscimento del lavoro di cura svolto dalle donne. Le statistiche dicono che le italiane dedicano circa 5 ore al giorno a queste attività ed “è chiaro che il lavoro di cura richiesto dalla propria famiglia da parte della componente femminile rispetto al lavoro che produce salario svolto fuori casa, si sviluppi e viaggi su binari paralleli quindi non convergenti”.

Per Armiliato, quindi, “il riconoscimento di questo secondo lavoro svolto ‘in nero’ dal momento che 5 ore al dì sono superiori anche al tempo richiesto per un lavoro part time svolto fuori casa, diventa una imprescindibile condizione che le donne lavoratrici, madri o non madri, devono poter vedere in qualche modo valorizzato”. Certo l’amministratrice del Cods sa bene “che, per mantenere una propria ‘situazione di comfort’ le istituzioni hanno sempre girato lo sguardo altrove seppur più che consapevoli che questo welfare gratuito fosse (è) il frutto di una negativa, sbagliata, iniqua e discriminante concertazione culturale e sociale”. Ma sarebbe ora che il riconoscimento dei lavori di cura e la loro valorizzazione ai fini previdenziali diventasse realtà, così anche da poter sanare delle disparità di genere piuttosto evidenti.