Diceva Antonio Gramsci che “crisi è quel momento in cui il vecchio muore ed il nuovo stenta a nascere”. Pare una definizione adatta al momento storico che l’Occidente oggi sta attraversando, ma forse potremmo dire il mondo… L’emergere di nuove potenze (Cina e India in particolare) ha cambiato molti equilibri e l’esplosione della bolla del 2008 ancora lascia pesanti strascichi. Se poi a questo aggiungiamo anche la grande trasformazione dell’industria, capiamo che il passaggio verso un nuovo ordine sociale – sul quale incide inoltre la difficoltà di gestire gli attuali fenomeni migratori – è qualcosa di alquanto complesso.
Non è di buon auspicio pertanto il rallentamento che si sta registrando nel Vecchio Continente e – in particolare – nel nostro Paese, che è l’unico in Europa ad essere in recessione tecnica. Circa le rilevazioni Eurostat sul Pil di qualche giorno fa, infatti, l’Italia è la sola economia col segno meno per il secondo trimestre consecutivo. Vero che anche la Germania è a 0 (zero), ma mentre per i tedeschi il problema è riconducibile all’impatto che la crisi del settore auto ha sul loro sistema, per noi si tratta di una forte contrazione della domanda interna.
Inoltre, il calo registrato in Italia poco più di un mese fa nella produzione, è stato confermato (fonte Istat) martedì anche dagli indici del fatturato dell’industria (-7,3% su base annua), calo peggiore dal 2009. Anche gli ordinativi registrano una diminuzione congiunturale (-1,8%). Male l’Italia, quindi, ma non bene l’Europa, le cui modeste previsioni di crescita sono state riviste al ribasso (da +1,9% a +1,3%).
Gli indici occupazionali sono quelli che in ultima istanza ci rivelano la complessità del problema, perché se il lavoro manca, l’equilibrio sociale viene meno. Il lavoro è proprio ciò che nelle economie avanzate tiene insieme le Istituzioni e la società civile: ecco perché le crisi, come quella attuale, sono pericolose, soprattutto quando sono così durevoli. A ogni modo, sono proprio i paesi dell’area mediterranea quelli che più soffrono da questo punto di vista: Italia (disoccupazione al 10,3%), Spagna (14,3%), Francia (9,1%) e Grecia (18,5%). Consideriamo che la media europea è attorno al 6,6%, ciò ci dice quanto effettivamente il problema in questi paesi sia serio.
Ecco perché la prossima stagione europea che avrà inizio tra qualche mese non può non mettere al centro dell’agenda politica il lavoro e la questione nord-sud, dove il sud non è soltanto l’Europa meridionale, ma anche l’Africa. L’Europa sarà travolta se non inizia ad affrontare seriamente la questione del suo sud, ovvero l’Africa, il che non può ridursi al fermo delle navi e al rimpatrio dei clandestini. L’Africa nell’ultimo secolo è cresciuta di quasi 9 volte e oggi si attesta attorno a 1,3 miliardi di abitanti, cifra che nel 2050 è stimata attorno a 2,5 miliardi.
Il continente nero va aiutato a svilupparsi, ne va della tenuta dell’Europa. Ma lo stesso bisogno lo hanno i Paesi del sud Europa. Ecco perché serve un nuovo piano Marshall per lo sviluppo: 70 anni dopo il programma per la ripresa europea (“European Recovery Program”) che gli Usa concepirono per la ricostruzione dell’Europa, oggi servono risorse e idee per non far cadere ciò che resta dell’Unione europea. È l’unico modo per non finire travolti dall’immigrazione incontrollata e dal sovranismo fallimentare.
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