Il decreto sul reddito di cittadinanza è ancora alla Camera per la conversione in legge. Tuttavia sembra plausibile che il percorso parlamentare del provvedimento sarà, per quanto possibile, più agevole. Si è infatti dopo una lunga trattativa raggiunto un difficile accordo tra ministero e regioni sulla gestione dei navigator e sul rilancio dei Centri per l’impiego che sembravano rappresenta le due criticità più complesse da superare per il buon esito della definitiva trasformazione in legge di un atto fortemente simbolico per la componente pentastellata dell’esecutivo.
Probabilmente forte di questa vicenda il ministro, e vicepremier, Di Maio aveva convocato ieri al ministero, dopo lungo tempo, i sindacati per un confronto ampio e a tutto campo senza fornire, addirittura, un ordine del giorno. Il tema della “chiacchierata” sembra, alla fine, come sempre sia stato fornito dalla realtà. Sempre ieri, infatti, l’Istat ha pubblicato un suo periodico rapporto sullo stato di salute del nostro mercato del lavoro che si caratterizza, come sempre, per luci e ombre. Si registra così come nel corso dell’anno scorso il quadro occupazionale abbia mostrato, in 12 mesi complessivamente positivi, un lieve peggioramento proprio nel quarto trimestre, post Decreto dignità, quando si osserva una diminuzione dell’occupazione rispetto al trimestre precedente, in un contesto di aumento della disoccupazione e di calo dell’inattività. Questo, peraltro, in un contesto che vede nell’andamento tendenziale per tutti gli ultimi dodici mesi una crescita, seppur fragile, di 87 mila occupati (+0,4% in un anno).
Un dato, ė opportuno segnalarlo, dovuto ai dipendenti a termine e agli autonomi (+200 mila e +12 mila, rispettivamente) mentre sono calati inesorabilmente, anche nel 2018, i lavoratori a tempo indeterminato (-125 mila), quelli, si sarebbe detto una volta, con il posto fisso.
L’incidenza dei lavoratori a termine sul totale dei dipendenti raggiunge nel 2018 il 17,1% (+1,1 punti). Rallenta, inoltre, la crescita degli occupati a tempo pieno mentre tornano ad aumentare i lavoratori involontariamente a part-time, a seguito dell’ulteriore incremento di questo fenomeno che in termini di incidenza sale al 64,4% (+3,2 punti) dei lavoratori a tempo parziale e al 12,0% del totale degli occupati totali.
Ogni possibile dialogo passa, quindi, da questi numeri che rappresentano in maniera asettica le ragioni delle paure e delle insicurezze degli italiani che si sono affidati, ormai un anno fa, a questo esperimento politico giallo-verde. Se il ministro immaginava con questa mossa di riaprire, anche, un confronto a sinistra per il suo movimento, probabilmente, come sembrano dimostrare gli esiti delle regionali e delle primarie del Pd, il tentativo sembra, ahimè, fuori tempo massimo.