Il 19 marzo del 2002 – esattamente 17 anni or sono – Marco Biagi veniva assassinato da un commando brigatista. Era arrivato sotto casa, in via Valdonica, sulla bicicletta che aveva inforcato alla stazione di Bologna provenendo da Modena dove insegnava e dove aveva fondato quella scuola che ora è un vanto della cultura giuslavoristica italiana e internazionale. Ieri a Modena, nella sede della Fondazione dedicata alla memoria di Biagi e diretta da Marina Orlandi, la moglie, che ha dedicato la sua vita a questa missione, era presente ed è intervenuto anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Come in altre circostanze, il capo dello Stato non si è limitato a ricordare la figura di Marco Biagi, ma ha voluto mandare dei segnali espliciti relativi all’attuale fase politica.



“Le rappresentanze sociali e i corpi intermedi sono realtà in cui i cittadini si riconoscono”, ha detto Mattarella. “La loro emarginazione e la loro attenuazione di ruolo rende più fragile la società ed espone maggiormente i cittadini ad essere vulnerabili rispetto alle incertezze, insicurezze, paure che inducono alla chiusura in se stessi. La loro importanza supera la pur fondamentale dimensione dell’ambito delle relazioni del lavoro perché riguarda, in realtà, anche la salute del tessuto democratico del nostro Paese”. Nelle opere di Marco – che aveva un approccio molto pratico alla realtà del lavoro, rivolto a trovare soluzioni piuttosto che a elaborare teorie – possiamo trovare degli spunti utili a maturare un’opinione anche su questioni iscritte oggi all’ordine del giorno.



È il caso del salario minimo legale, un tema che è venuto alla ribalta al Senato in seguito alla presentazione di un ddl AS 658 a prima firma di Nunzia Catalfo (presidente pentastellata della commissione Lavoro) che si è unito a un ddl (AS 310) presentato l’anno scorso dall’opposizione di sinistra a prima firma Laus (alla Camera vi è un pdl Delrio).

Nel Libro bianco redatto da una commissione coordinata da Biagi e presentato nell’autunno del 2001, a questo proposito, stava scritto: “Inoltre, è da ricordare l’assenza di un regime di salario minimo legale. Tale funzione, infatti, è esercitata dai contratti collettivi nazionali di settore. Rispetto ad altri paesi, questa funzione è però svolta con minore efficacia, in termini di prevenzione di abusi, visto che i Ccnl hanno livelli salariali, in termini relativi rispetto alla retribuzione media effettiva, piuttosto elevati. Il livello dei minimi sanciti dai Ccnl corrisponde tra i due terzi e i tre quarti del salario medio effettivo, ben al di sopra del 50% circa garantito dai salari minimi legali nella maggior parte degli altri paesi europei che hanno questo strumento. Al fine di determinare valori di equilibrio dei vari tipi di differenziali, il mercato ha continuato ad operare attraverso varie forme di slittamento salariale, trovando un limite, tuttavia, nei livelli minimi salariali fissati dai contratti nazionali, i quali hanno determinato una struttura delle retribuzioni più ‘compressa’ di quella che sarebbe altrimenti risultata sulla base dell’azione dei fattori di carattere economico”.



La regola di Marco era il benchmarking ovvero il confronto tra le buone prassi (in materia di lavoro) dei diversi Paesi. Ed è per questa sua impostazione che il professore troverebbe da ridire sulle proposte che circolano nel dibattito di queste settimane nel Bel Paese. Si discute innanzitutto se i 9 euro di retribuzione minima oraria devono essere lordi (M5S) o netti (Pd e sinistra). Non è una differenza di poco conto. Nel corso delle audizioni il presidente dell’Inapp, Stefano Sacchi, ha presentato delle slides da cui emerge che un salario minimo orario di 9 euro netti sarebbe pari al 119% del salario mediano nazionale, mentre, se lordi, all’87%. Percentuali comunque elevate e insostenibili.

Inoltre, nel primo caso i beneficiari di una retribuzione più elevata sarebbero il 52,6% dei lavoratori interessati (con un costo per le imprese di 34 miliardi); nel secondo il 14,6% (con un onere di 4 miliardi). L’adeguamento a 9 euro netti riguarderebbe il 77% degli occupati di imprese fino a 10; il 20% di quelli nelle imprese più grandi. L’adeguamento a 9 euro lordi riguarderebbe il 25% degli occupati di imprese fino a 10; il 3% di quelli nelle imprese più grandi. Secondo l’Ocse – il cui rappresentante ha preso parte alle audizioni – il salario minimo, ancorché a 9 euro lordi all’ora, sarebbe il più elevato tra i paesi aderenti.

Insomma, mettendo insieme il reddito di cittadinanza (780 euro mensili per diciotto mesi rinnovabili), la retribuzione minima (858 euro mensili) al di sotto della quale il lavoratore, preso in carico dai Centri per l’impiego, può rifiutare l’offerta di lavoro, e, alla buon ora, un salario minimo che destabilizzerebbe i livelli salariali stabiliti dalla contrattazione collettiva, l’Italia si appresta a diventare la “terra del latte e del miele”.

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