A gennaio, secondo i dati Istat pubblicati ieri, gli occupati sono cresciuti dello 0,1% rispetto a dicembre, ma il tasso di occupazione rimane stabile al 58,7%. In altri termini, se siete dei fans di Giggino Di Maio vedrete il bicchiere mezzo pieno (e se non lo vedrete, farete almeno finta di vederlo per salvare Governo e Movimento); se siete adepti di qualunque altro partito (Lega compresa), sarà la conferma che il M5S e il Governo sono gestiti da persone con una certa farlocca capacità di inventarsi fandonie ma senza vere attitudini non si dice al comando, ma nemmeno al buonsenso. Se siete sindacalisti, come chi scrive, allora sarete comunque preoccupati, perché i dati statistici non servono se non a dire che, al netto del fatto che vogliate vedervi l’aspetto positivo o quello negativo, oltre il 40% degli italiani in età, e desiderio, di occupazione, manca di occasioni per inserirsi o per rientrare nel mondo del lavoro: il tasso di occupazione, infatti, è fermo al palo del 57% e la disoccupazione si attesta comunque, come prima, al 10,5%.
Se poi gli adulti trentacinquenni hanno qualche possibilità in più di essere assunti (in un mese gli inattivi in questo segmento sono calati dello 0,2%), per gli altri, gli over50 e per gli under20, la situazione resta sempre nera. Va bene, ma cosa si può fare? Tutto, detto in poche e semplici parole.
L’occupazione non si crea per decreto, lo abbiamo ricordato più volte. Né i proclami fanno sostanza. Il dato vero è che mancano completamente politiche industriali degne di questo nome; non si sa che fine abbia fatto il Piano energetico nazionale. Si parla di tanto di fermare le opere pubbliche inutili e costose (in vulgo: la Tav) e di sostituirle con imponenti piani di ammodernamento e messa a norma dell’esistente. Appunto per ora si parla: figurarsi quando saranno davvero cantierabili e cantierati, quando cioè degli essere umani, maschi e femmine, di età variabile tra i 18 e i 62 anni, di cultura e formazione diversa, potranno presentarsi ai cancelli del cantiere per iniziare, intorno alle 7 del mattino il loro lavoro.
Insomma, l’impressione è che a fronte di una crisi che sta iniziando a picchiare duro al Governo siedano (anche) dei buontemponi che a ogni sberla del destino rispondono con frasi di circostanza e minacce a futura memoria. Ma governare è diverso da annunciare; amministrare non corrisponde a twittare, e faisbucare non è la forma corrotta di “fare dei buchi” nella terra per edificare un centro, una palazzina o che altro.
A oggi, di fatto, ogni speranza di sviluppo economico e di ripresa della occupazione è legata anzitutto a un sillogismo che però i tomisti di una volta avrebbero immediatamente bollato come “difettivo”. In pratica l’idea è che siccome le famiglie non hanno soldi e quindi non spendono, basta ridargliene un po’ e la spesa riprenderà. Riprendendo la spesa le aziende avranno bisogno di produrre e quindi assumeranno le persone. Ergo: il bengodi è all’orizzonte perché il reddito di cittadinanza rilancerà tutto.
Ora per rilanciare, di sicuro rilancerà: che poi rilanci il mercato o lanci sul mercato, non è differenza di poco conto! Dicevamo che è un sillogismo difettivo: nel senso che difetta, manca, “defice” per dirla alla latina, di una parte: cioè di una conoscenza non wikipediana della realtà economica e della situazione delle famiglie.
L’Italia si è sempre salvata perché ha avuto due settori in cui è stata maestra e guida: quello del debito pubblico e quello del risparmio privato. Insomma, Italia povera, italiani ricchi (o quasi). Questo ieri. Oggi il debito pubblico è aumentato mentre la ricchezza familiare è diminuita. Non sparita, ma certo diminuita. E nel dubbio gli italiani non spendono quel che rimane loro: non si sa mai… Le banche ne approfittano per tentare di dare una sistemata a conti anch’essi “difettivi”, per così dire. E il sistema si ferma. Se poi ci si aggiunge il classico elemento fiducia (se cala la fiducia non si spende; se non si spende si va in recessione; se si va in recessione non si ha fiducia) e il fatto che questo Governo ha come programma scelto dagli italiani in libere elezioni quello di una decrescita felice, si capirà anche perché tranne Di Maio, la sua stretta cerchia di collaboratori e Rocco Casalino, il resto del mondo tenda a non credere nel fatto che il Reddito potrà rilanciare l’economia e l’industria.
Oh, si può sempre sperare che nelle prossime settimane le cose cambino e che all’improvviso un’iniezione di miliardi di euro nel motore del sistema ridia fiato alle aziende e posti di lavoro agli italiani. Per adesso però non riusciamo neppure a spendere i soldi che Bruxelles ci ha destinato (e non parliamo di Tav, perché se ci si aggiunge pure quelli…).
Insomma, i dati sulla disoccupazione sembrano la fotocopia del sistema Italia: tutto fermo e tutti sono fermi. In attesa di cosa non si sa, ma un po’ per necessità un po’ per paura un po’ per interesse, nessuno sembra avere la forza o le idee per far ripartire non si dice la locomotiva, ma almeno il nostrano carretto tirato dai soliti due muli.