Venghino lorsignori, venghino. S’avvicinano le elezioni e noi non siamo qui per vendere e neanche per svendere, bensì per regalare. Regalare tutto a tutti perché tutti hanno diritto a tutto e tutte le cose sono da essere per tutti. Noi vi diamo tuttissimo. Sì vabbè, la sintassi è quella che è e il lessico lascia a desiderare, ma ammettetelo, anche voi vi avete riconosciuto il più puro stile linguistico giallo-verde governativo, quel mix inconfondibile tra dadaismo sintattico, anarchia selvaggia e retorica che nemmeno nel ventennio quando il Mascellone governava (e i treni, checché se ne dica, non arrivavano in orario!). Il punto è che ora che le cose vanno così così per i partiti di Governo (i 5S hanno imboccato una brutta china; la Lega vince ma non sfonda e il Berlusca resiste alle spallate) e mentre sullo sfondo si affaccia il fantasma, o meglio l’ologramma del Pd, il ministro per lo Sviluppo, il Lavoro, la Produzione, il Rilancio e insomma, il ministro di tutto, Giggino Di Maio, pensa bene di portare in Parlamento una proposta di legge per il salario minimo. Nonostante il proponente, e siccome parliamo di salario, la cosa è seria.
Dal 1952 a oggi due generazioni di europei hanno aderito in grandissima maggioranza al progetto di integrazione europea e hanno goduto di un benessere sempre crescente. Almeno fino all’inizio della crisi economica che è seguita alla crisi finanziaria del 2008, e nonostante la ripresa economica osservata negli ultimi anni, quando il tasso di povertà ha continuato ad aumentare per i disoccupati di lungo periodo e per chi versa in una situazione di povertà lavorativa. È a livelli preoccupanti nella maggior parte degli Stati membri: in Italia invece pure.
Alla luce di questo quadro, Bruxelles sta valutando l’introduzione di un quadro europeo vincolante per un reddito minimo dignitoso in Europa, con l’obiettivo di generalizzare, sostenere e rendere “dignitosi” (ossia adeguati) i sistemi di reddito minimo negli Stati membri come prima risposta europea, parziale ma importante, al grave e persistente problema della povertà. Una risposta che si inserirebbe a pieno titolo nella cornice dell'”Europa a tripla A sociale” annunciata dal Presidente Juncker e invierebbe ai cittadini il segnale inequivocabile che l’Unione ha veramente a cuore il loro interesse.
Si tratterebbe di una direttiva che instauri un quadro di riferimento per un reddito minimo adattato al livello e allo stile di vita di ogni Paese, che terrebbe conto dei fattori di ridistribuzione sociale, della fiscalità e del tenore di vita in base a un bilancio di riferimento, la cui metodologia sarebbe definita a livello europeo. Questo reddito minimo europeo dovrebbe essere collegato anche a uno strumento per l’integrazione o reintegrazione lavorativa delle persone escluse, nonché contro il fenomeno della povertà lavorativa.
Siccome però a Bruxelles non sono né stupidi, né sprovveduti, si sono anche posti la questione di come finanziare questo reddito minimo europeo e infatti lo hanno collegato alla creazione di un Fondo europeo appropriato. E hanno parlato di reddito minimo, non di salario minimo. Ecco qui sta la prima differenza, pratica e non ancora politica, tra Bruxelles e i nostri in divisa giallo-verde. Salario minimo per legge significa anche decidere chi paga.
Gli imprenditori? Lungi da noi l’idea di farci difensori di chi sfrutta la gente a 3 euro l’ora netti (vedi cooperative di facchinaggio, di servizio e altro). Ma sia chiaro che interventi così invasivi, fatti solo per tagliare l’erba del consenso sotto i piedi dei propri avversari politici, senza una vera idea della realtà macroeconomica, dell’andamento dei mercati, senza una prospettiva delle conseguenze, significa né più né meno che assumere le vesti del Gatto e della Volpe e pensare che il resto del mondo sia fatto di tanti Pinocchi privi di cervello.
Il punto infatti non è il salario minimo e se aumentare o no certe retribuzioni: su questo non vi sono dubbi e i sindacati europei, e quindi anche gli italiani, lavorano su questo da sempre. Il punto è capire se l’aumento di oggi, targato M5S, apre o no a una nuova moda: oggi governo io e aumento, domani governi tu e diminuisci. Capirete che una fisarmonica che suona così è tutto tranne che appassionante per chi deve starla a sentire, nel caso fuor di metafora per i dipendenti. Ma poi, a qualcuno è venuto in mente che la prima conseguenza di un gesto così pesante sarebbe il trasferimento del maggior costo sui prezzi: cioè in definitiva ancora una volta sulle spalle di quegli “ultimi della catena” che si vorrebbe pur aiutare. Sappiamo benissimo che le prestigiose facoltà di Economia e Finanza sostengono che un aumento dei costi non si traduce per forza in un aumento dei prezzi, ma sospettiamo anche che siano le sole realtà al mondo dove si dice ciò. Se poi invece si sta pensando di tornare alla “scala mobile” di venerata memoria, sia pure sotto forma moderna, beh, che dire, auguri…
No, non è una bella musichetta quella che la sconclusionata orchestra che ci guida si sta accingendo a suonare. Rischia di creare più danni dell’iceberg del Titanic. Ovviamente senza che i protagonisti abbiano neanche un’oncia del fascino di Leonardo Di Caprio e Kate Winslet. Ma neanche dell’intelligenza artistica di James Cameron. Siamo piuttosto in un BMovie italiano degli anni Settanta. Uno di quelli in cui recitavano Pierino e Bombolo, la Fenech e Lino Banfi. Un sospetto: non è che sia stato proprio il mitico Lino a suggerire questa mossa? In fondo è pur sempre, per sua stessa pubblica dichiarazione, il personaggio culturale di riferimento di Giggino!