Il mondo del lavoro odierno è travolto da un grande cambiamento tecnologico e culturale che influenza inevitabilmente l’organizzazione delle risorse all’interno delle aziende. Luca Solari, Professore di Organizzazione aziendale all’Università Statale di Milano, ci aiuta a capire la portata che ha questo cambiamento sulle relazioni tra le figure più tradizionaliste e i giovani ingressi in azienda, i quali a suo parere dovrebbero possedere una grande capacità di riflessione.
Quella dell’Organizzazione aziendale è una materia molto fluida. Di cosa parla, dunque, in aula?
Ha colto un tema importante. Infatti, molto di quello che noi professori abbiamo insegnato in aula negli ultimi anni, sia agli studenti che ai manager, è diventato quasi istantaneamente obsoleto, in particolare perché l’organizzazione è sempre stata associata in maniera importante alle tecnologie. Lo sviluppo di tecnologie che facilitano moltissimo il coordinamento tra le persone e che permettono di pensare al modo con il quale generare servizi andando oltre le classiche barriere spazio-temporali, ha fatto sì che i modelli precedenti, basati su tecnologie di prossimità, siano entrati in grande difficoltà. Quindi degli elementi tradizionali della letteratura organizzativa probabilmente possiamo tenere solo i due di base: il concetto di specializzazione e divisione del lavoro e il concetto di coordinamento, seppur anche questi due elementi oggi aprano spazi di interpretazione completamente diversi da quelli visti in passato.
Come attuare quindi un Change Management in una realtà con un’impostazione culturale molto tradizionale?
È una domanda che in molti si pongono perché sostanzialmente non esiste ancora una risposta. Esistono degli approcci che stiamo verificando, sia dal punto di vista della ricerca che da quello professionale. Credo che l’approccio tradizionale utilizzato oggi in merito alle trasformazioni digitali, ovvero quello della formazione d’aula ai capi, sia da evitare. Non sto sostenendo che la formazione sia trascurabile, ma dal momento che si parla di processi che destrutturano il modo con il quale le persone entrano in relazione, penso che dei corsi in cui si racconta cosa sia lo smart working siano inutili. Il passaggio dovrebbe invece essere verso l’utilizzo di modalità molto blended: dal far vivere direttamente a queste persone delle esperienze diverse, non necessariamente in modi tradizionali, all’estendere l’ambito di comprensione del proprio ruolo manageriale, attraverso una consapevolezza diversa del modo con il quale gestiamo le relazioni e attraverso la capacità di vivere il proprio ruolo come in continuo apprendimento.
Quali sono le skill che dovrebbe avere un giovane quando entra in azienda?
Io sono appassionato di una skill particolare, ovvero la riflessività, uno dei temi centrali della collaborative management research, alla quale mi sono dedicato negli ultimi anni. È la capacità sia dell’insider, quindi dei manager, sia dell’outsider, di riflettere a un secondo livello su ciò che sta accadendo. Le organizzazioni, soprattutto ora, sono sistemi aventi al proprio interno una molteplicità di livelli relazionali complessi. Una persona giovane che entra in un’organizzazione, molte volte, se non dedica del tempo a questa riflessione corre il rischio di non vedere i livelli diversi che ho citato e quindi, ad esempio, agisce solo su una delle dimensioni, fermo restando che può sempre rivelarsi poi la migliore. La capacità, quindi, di leggere ciò che si ha attorno e di capire chi sono gli attori, quali sono le loro relazioni, gli schemi e i linguaggi, è fondamentale.
Quanto conta la passione per un giovane che vuole entrare nel mondo del lavoro?
La risposta a questa domanda è un omaggio alla mia natura di utopista. Infatti, io continuo a pensare, credere e praticare l’idea che seguire il senso del proprio desiderio, della propria passione sia l’elemento centrale. Occorre senz’altro capire il proprio contesto e capire come interagire al suo interno per evitare che ciò che accade sia inaspettato o incompreso, ma non credo che la risposta debba essere necessariamente l’adattamento della propria passione a questo contesto. Occorre avere sempre un proprio piano, una propria prospettiva, un proprio desiderio e portarlo avanti, senza doverlo mettere obbligatoriamente in discussione.
(Luca Brambilla)