E alla fine il grande giorno, dopo settimane e mesi di dibattiti, è arrivato. Da ieri, infatti, è possibile richiedere, attraverso uno dei canali previsti dalla normativa, il Reddito di cittadinanza, la nuova misura di politica attiva del lavoro e di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale proposta e promessa dai cinque stelle durante la campagna elettorale di un anno fa.
L’iniziativa di sostegno economico a integrazione dei redditi familiari più deboli è stata poi, seppure con qualche distinguo leghista, fatta propria dal Governo giallo-verde e ora sta, almeno per i suoi sostenitori, diventando realtà. Il debutto, peraltro, è stato meno complicato di quanto immaginato dai più pessimisti. Si sono manifestati, è vero, alcuni problemi informatici alle piattaforme tecnologiche, ma non si sono materializzate le temute file davanti agli sportelli dei Caf e delle Poste.
È bene ricordare, in occasione del lancio della misura, anche gli stringenti requisiti che devono essere posseduti per potervi accedere. Dal punto di vista meramente economico, ad esempio, il nucleo familiare richiedente il reddito di cittadinanza deve essere in possesso di un valore Isee inferiore a 9.360 euro, un valore del patrimonio immobiliare, diverso dalla casa di abitazione, non superiore a 30.000 euro, un valore del patrimonio mobiliare non superiore a 6.000 euro per i single, incrementato in base al numero dei componenti della famiglia (fino a 10.000 euro), alla presenza di più figli (1.000 euro in più per ogni figlio oltre il secondo) o di componenti con disabilità (5.000 euro in più per ogni componente con disabilità) e un valore del reddito familiare inferiore a 6.000 euro annui, moltiplicato per il corrispondente parametro della scala di equivalenza. Questa soglia reddituale è, quindi, aumentata a 7.560 euro ai fini dell’accesso alla Pensione di cittadinanza, mentre se il nucleo familiare risiede in un’abitazione in affitto è elevata a 9.360 euro.
Se, quindi, da una parte la misura sta, nonostante i dubbi e le perplessità di molti, iniziando a prendere forma, molto sembra ancora da fare per tutto quanto attiene la capacità del sistema dei servizi per il lavoro, specialmente nella sua componente pubblica, di accompagnare i beneficiari del reddito verso l’inserimento/reinserimento nel mercato del lavoro. In questa prospettiva si era immaginato di immettere nei tanto bistrattati Centri per l’impiego 6.000 nuovi consulenti facendo avvicinare, pur rimanendo sempre a distanza siderale, l’organico di queste strutture a quelle tedesche o francesi.
Su queste risorse si è sviluppato un furioso scontro di competenze tra Stato e Regioni che rivendicano il diritto ad assumere i “navigator” al posto dell’agenzia nazionale controllata dal ministero del Lavoro. Solo marginale, in questo contesto, lo spazio, ovviamente, per una seria riflessione sul ruolo e le professionalità necessarie per far operare bene questa “nuova” figura.
Si rischia, insomma, di essere di fronte all’ennesima mancata occasione dell’autoproclamatosi Governo del cambiamento.