LANDINI SU QUOTA 100

Maurizio Landini è tornato a criticare la riforma delle pensioni varata dal Governo. “Con la cosiddetta quota 100 ormai siamo agli slogan: con quota 100 non si cambia la Fornero, è solo una presa in giro”, ha detto infatti il Segretario generale della Cgil, intervenuto mercoledì alla Camera del lavoro di Pavia. Il sindacalista ha evidenziato infatti che con “quota 100 siamo agli slogan: se io infatti ho 60 anni e 40 di contributi, in pensione non ci vado, quindi non siamo a quota 100. Come dicono dalle mie parti: è quota 100 fino a mezzogiorno, ma se arrivo alle 13 non è più quota 100”. Dal suo punto di vista, “cambiare davvero la Fornero significa modificare i suoi punti di fondo”, a partire “dal contributivo che non esiste in nessuna altra parte al mondo. Solo in Cile esiste un sistema puramente contributivo, e infatti lo vogliono modificare”. Settimana prossima è in programma un incontro tra il ministro del Lavoro e i sindacati. Probabile che nell’occasione Landini faccia presente a Di Maio queste stesse considerazioni.



RIZZETTO IN DIFESA DEGLI ESODATI

Il Governo sembra intenzionato a proporre un emendamento al decreto sulla riforma delle pensioni con Quota 100 che consentirebbe a circa 1.300 esodati, dietro pagamento di una cifra forfettaria, di andare in quiescenza. Walter Rizzetto fa però sapere di essere contrario a questa misura, perché “chiedere a queste residue 6000 persone un riscatto annuo sino all’ottavo anno di mancata contribuzione significa perpetrare una barbaria. Una cosa malfatta nei numeri, infatti la platea dei ‘beneficiari’ si ridurrebbe a poco più di 1300 persone su un totale di oltre 6000 e malfatta nei modi in quanto come possiamo chiedere i contributi a gente che sono anni che non lavora? Ed ancora, penalizzandoli ulteriormente attraverso l’applicazione di un ricalcolo contributivo che, seppur volontario, ridurrebbe ulteriormente il loro assegno pensionistico mensile”. Intervistato da pensionipertutti.it, il deputato di Fratelli d’Italia evidenzia che “questa proposta è ben peggiore della già pessima Manovra Fornero” e che i partiti della maggioranza avevano promesso di varare la nona salvaguardia degli esodati.



LA DIFFERENZA TRA UOMINI E DONNE

Nel giorno della festa delle donne, un’indagine realizzata dallo Spi-Cgil del Veneto, i cui risultati vengono riportati dal sito di Rassegna sindacale, mostra che le pensionate, nella produttiva regione italiana, percepiscono un assegno inferiore del 47,5% rispetto a quello dei pensionati. Se l’assegno medio di un uomo è di quasi 1.270 euro al mese, per le donne si arriva a 665. “Il nostro sindacato l’attenzione verso la categoria delle pensionate è una priorità assoluta, non certo solo nel giorno della festa della donna. Questa situazione esiste perché una parte delle nostre pensionate provengono da esperienze lavorative discontinue e precarie, dunque possono contare su assegni previdenziali generalmente molto bassi e insufficienti per vivere una quotidianità quantomeno dignitosa”, spiega Rosanna Bettella, Coordinamento donne Spi Veneto, secondo cui è “fondamentale quindi riconoscere il lavoro di cura, perché sono le donne che devono abbandonare il mondo del lavoro o ridurne notevolmente gli orari per seguire propri familiari non autosufficienti”.



I VUOTI CHE NON AIUTANO LE DONNE

L’Usb ha raccolto dati sulle disuguaglianze e la violenza di genere in “Donne sull’orlo di una crisi di numeri”, dove emergono differenziali retributivi, barriere in ingresso al lavoro, precarietà, part-time involontario, dimissioni in bianco all’atto dell’assunzione, molestie nei luoghi di lavoro e anche un futuro pensionistico caratterizzato da assegni bassi. Nora Imbimbo di Usb Bologna, secondo quanto riportato da estense.com, ha evidenziato come un problema importante sia rappresentato dalla maternità: “Se con il primo figlio si riesce a riavere il proprio posto di lavoro, lo si perde avendo il secondo, e quando si rientra alle proprie mansioni si è spesso in condizioni sfavorevoli rispetto a prima della maternità. Questo crea dei periodi di ‘vuoto’ nella contribuzione, che insieme ai salari più bassi percepiti dalle donne, fa sì che anche le loro pensioni siano più basse”. Un problema che bisognerebbe cercare di mitigare e di cui bisognerebbe avere contezza al momento del varo di una riforma delle pensioni.

EMENDAMENTO PER 1.300 ESODATI

Secondo quanto riporta Il Sole 24 Ore, il Governo avrebbe preparato un emendamento al decreto sulla riforma delle pensioni con Quota 100 grazie al quale “con un riscatto a forfait di 2.620 euro per ogni anno di mancata contribuzione, fino a un periodo massimo di otto annualità, poco più di 1.300 lavoratori ‘esodati’ potranno accedere alla pensione anticipata con ‘quota 100’ o con Opzione donna.” Un emendamento che certamente non piacerà al Comitato esodati licenziati e cessati, che da tempo chiede una soluzione non discriminatoria per i circa 6.000 esodati ancora privi di salvaguardia. In questo senso, infatti, l’emendamento non trova una soluzione per tutti e per di più richiede l’esborso di una somma da parte di persone che da diverso tempo sono senza reddito. Senza dimenticare che chi ha potuto avere accesso all’ottava salvaguardia per gli esodati non ha dovuto versare alcuna somma per andare in pensione. Infine, nel giorno della festa della donna, in cui si ricorda quanto le pensionate prendano un assegno più basso rispetto ai pensionati, non si può trascurare il fatto che proporre come canale di accesso alla pensione per un’esodata Opzione donna vuol dire anche farle incassare un futuro assegno pensionistico completamente ricalcolato con il metodo contributivo, e quindi di importo ridotto.

RIFORMA PENSIONI, LA SITUAZIONE DELLE DONNE

Con la festa della donna tornano a emergere dati sulla disparità di genere nel mercato del lavoro nel nostro Paese che non sembrano far intravvedere un miglioramento. “C’è ancora tanto per raggiungere una vera parità. Le donne guadagnano in Italia quasi il 30% in meno rispetto agli uomini. Nel settore finanziario si arriva a punte più alte”, spiega Annamaria Furlan intervistata da Avvenire. Per la Segretaria generale della Cisl, una delle cause di questa situazione è “che le donne hanno più difficoltà a conciliare impegni di lavoro e familiari. Di conseguenza, sono soprattutto loro a scegliere occupazioni a tempo parziale e a interrompere continuamente la propria carriera, per dedicarsi alla cura dei familiari, con conseguenze dirette sui salari e soprattutto sulle future pensioni, inferiori del 30% rispetto a quelle degli uomini”.

La sindacalista ricorda che è proprio per questo che, nell’ambito delle varie richieste in tema di riforma delle pensioni, anche nell’ultima che ha introdotto Quota 100, “abbiamo chiesto che fosse riconosciuto alle donne un anno di contributi in più per ogni figlio”. L’Osservatorio statistico dei consulenti del lavoro ha realizzato invece un’indagine dal titolo “Donne al lavoro: o inattive o part-time”, dalla quale emerge, come spiega Adnkronos, che l’orario di lavoro ridotto per le donne, più frequente nel caso di mamme, “ha conseguenze anche sul piano pensionistico. Condizioni discontinue di lavoro e a tempo parziale non consentono, infatti, di alimentare in modo continuo le posizioni previdenziali utili all’accesso alla pensione di vecchiaia”.