Sono attualmente all’esame del Senato due Disegni di legge, nn. 310 (a firma Pd) e 658 (del M5S), che intendono introdurre anche nel nostro Paese un salario orario minimo garantito. L’introduzione di un salario minimo orario è stata, negli ultimi anni, oggetto di un forte dibattito pubblico, tanto che anche la Legge delega del Jobs Act prevedeva l’introduzione, in via sperimentale, di un compenso orario minimo; delega, come noto, mai esercitata.
Oltre alla proposta all’esame del Parlamento italiano, recentemente il Ministro Di Maio ha rilanciato la proposta di un salario minimo orario europeo uguale per tutti i lavoratori in tutti gli stati membri, a sua detta, un’utile misura di contrasto al dumping salariale. Sul versante opposto, il Pd, il quale aveva inizialmente presentato la proposta di fissare a 9 euro netti il salario orario minimo garantito, ha di recente modificato la propria proposta riformando totalmente quanto già previsto nell’ormai superato disegno di legge. Il nuovo testo, infatti, non prevede più la fissazione di un salario orario minimo pari a 9 euro netti garantiti a tutti i lavoratori, bensì l’introduzione di un meccanismo in base al quale assumerebbero valore legale i minimi previsti dai contratti collettivi nazionali firmati dalle organizzazioni più rappresentative, stabilendo che la previsione legislativa di un salario minimo si applichi unicamente ai lavoratori non coperti dalla contrattazione nazionale.
L’obiettivo primario delle proposte di legge in esame resta quello di predisporre uno strumento di lotta all’annoso fenomeno dei cosiddetti working poors, ossia quei lavoratori il cui reddito è inferiore alla soglia di povertà relativa, con un conseguente adeguamento a quanto già previsto nella maggior parte dei Paesi europei, i quali già prevedono una qualche forma di minimo retributivo garantito per legge. Infatti, da un punto di vista comparativo, la previsione di un salario orario minimo è già presente in ben 22 Paesi membri su 28 dell’Unione europea con un importo variabile, nei due sistemi a noi più affini, ossia Francia e Germania, da 10,03 a 8,84 euro lordi l’ora.
Tanto premesso, deve sottolinearsi come anche qualora il salario minimo orario riuscisse effettivamente a trovare spazio nel nostro Paese e a garantire, quindi, un aumento dei salari minimi, ciò comporterebbe la necessità per le imprese di scaricare tale aumento dei costi sul consumatore finale o, in ogni caso, la diminuzione dei margini di investimento, con danno al tessuto produttivo e ai livelli occupazionali. L’introduzione di un salario minimo garantito, tutt’al più, potrebbe giovare a quei limitati settori nei quali non viene attualmente applicata la contrattazione collettiva o nei campi in cui si assiste alla proliferazione dei cosiddetti “contratti pirata”. Ciò in quanto, in Italia, come nei Paesi contraddistinti da una forte presenza e centralità della contrattazione collettiva, i minimi salariali sono distinti per singolo settore merceologico e sono individuati dai Ccnl.
Sotto altro punto di vista, la stessa fissazione di un salario minimo orario uguale per tutti i settori e applicabile a tutti i lavoratori subordinati può comportare problematiche connesse alla quantificazione dell’importo orario da erogarsi. Un livello di salario minimo troppo alto potrebbe, infatti, comportare un aumento del costo del lavoro e, di conseguenza, le imprese si troverebbero costrette a ricorrere a una diminuzione dell’organico in forze o ancora a traslare gli effetti dell’aumento del costo del lavoro sul consumatore finale. Per converso, una retribuzione minima troppo bassa potrebbe alimentare speculazioni da parte delle imprese e avviare una sorta di “corsa al ribasso” salariale, senza ombra di dubbio nociva.
Concludendo, qualora l’obiettivo dei disegni di legge fosse quello di garantire retribuzioni più eque a quella fetta di lavoratori cui non vengono applicati i minimi dei Ccnl (si pensi, ad esempio, ai lavoratori domestici), non può non sottolinearsi come non possa ritenersi prioritaria la previsione di minimi retributivi legali, quanto, viceversa, un serio intervento in materia di rappresentanza sindacale che ribadisca la centralità nel nostro ordinamento della contrattazione collettiva quale strumento di definizione dei minimi retributivi.