Pasquale Tridico, giurista del “regime” giallo-verde e designato alla presidenza dell’Inps, da dove assiste, indirizza e si compiace dei primi passi del Reddito di cittadinanza di cui è stato il fondatore, ha, in un’intervista al Corriere della Sera, tratto un primo bilancio delle politiche sociali e del lavoro del Governo Di Maio-Salvini. I dati sono abbastanza interessanti perché si riferiscono alle domande accolte, sia del RdC che delle pensioni, e pertanto costituiscono un riferimento più certo dei trend attesi.
Per quanto riguarda il RdC, già il 12 aprile, erano state “elaborate” circa 640mila domande con un tasso di accoglimento del 75%. Pertanto saranno caricate 480mila carte nei prossimi giorni a favore di altrettante famiglie. L’importo medio risulta essere di 520 euro per famiglia con un massimo di 1.380 euro. Ma all’Inps è affidata anche la gestione della misura sulla quale spicca di più il colore verde: quota 100 e dintorni. Le domande pervenute sono 117mila, in prevalenza di persone in età compresa tra i 63 e i 65 anni e dipendenti privati (quelli pubblici sono circa 40mila, la metà nella scuola). Quelle che sono state presentate per poter avere la decorrenza ad aprile sono state 55mila di cui 51mila lavorate, 41mila accolte e 10mila respinte. L’importo medio di una pensione “quota 100” è di 1.865 euro. L’attenzione riservata alla pupilla di Matteo Salvini non ha indotto gli uffici – secondo Tridico – a trascurare e accantonare le altre pensioni che hanno visto evadere il 68% delle domande presentate nel primo trimestre dell’anno.
Che cosa possiamo dire al cospetto di tale rappresentazione se non che “il mondo è bello e santo l’avvenir”? Anche perché, subito dopo Pasqua, arriverà in Aula al Senato un grande uovo di cioccolato di cui già conosciamo la sorpresa: il salario orario minimo. E sarà tanto ricca la festa che anche le opposizioni – a partire da quelle di sinistra – non esiteranno a parteciparvi. E i sindacati? Alcuni dirigenti più avveduti hanno intuito la trappola. Alessandro Genovesi, leader degli edili della Cgil ha scritto su Il Diario del lavoro: “È per queste ragioni che in Italia l’eventuale introduzione del salario minimo per legge avrebbe un effetto micidiale: scoraggerebbe la leva salariale nazionale, perché essendo la stragrande maggioranza dei minimi contrattuali complessivi, cioè comprendenti welfare integrativo, ferie, mensilità aggiuntive, maggiorazioni vari, scatti di anzianità, ecc. ben sopra i 12/13 euro – per non citare i 22/26 lordi dei Ccnl edilizia – sarebbe un disincentivo al rinnovo dei Ccnl per tutte le imprese che stanno sopra. Imprese che al massimo, bontà loro, avendo la ‘pistola fumante sul tavolo’, potrebbero in futuro concedere un po’ di welfare defiscalizzato (e ‘orientato’ attraverso le ‘loro’ piattaforme), concentrando la funzione del salario solo nei contesti aziendali più strutturati, già i più forti e per assurdo oggi con meno problemi di competitività, con evidenti effetti di mancata redistribuzione e minore aiuto alla domanda interna. Si appiattirebbe la produttività (pochi lo dicono, ma dove si applica solo il salario minimo legale, negli anni, è crollata la produttività complessiva e del lavoro (si veda rapporto Fondazione Dublino), livellando (la moneta cattiva alla lunga scaccia quella buona) contesti diversi che nessuna norma di legge può contemplare. Questo se assumiamo come dato di base la ‘complessità’ sovra indicata”.
Il vice segretario generale della Confederazione Vincenzo Colla ha aggiunto su Huffington Post: “Lo stesso riferimento al quadro europeo per giustificare la scelta del salario minimo non può guardare solo a quei paesi che hanno o non hanno il salario orario e mensile per legge senza guardare all’applicazione complessiva delle norme contrattuali a tutti i lavoratori e, quindi, all’erga onmes. I due temi non sono separabili e la presenza del salario minimo legale in assenza dell’istituto dell’erga omnes dei contratti – e quindi la sua convivenza con i contratti di diritto comune che si applicano solo agli associati – avrebbe la possibile conseguenza di un indebolimento delle organizzazioni di rappresentanza e quindi un possibile mutamento dei nostri assetti democratici”.
In sostanza, sostiene Colla, non ha senso applicare anche in Italia un istituto come il salario minimo legale con la motivazione che così avviene nella maggior parte dei Paesi europei, senza tener conto della peculiarità di una diffusa contrattazione nazionale di categoria – la caratteristica del nostro sistema – che stabilisce dei minimi retributivi a cui una giurisprudenza consolidata, attraverso l’interpretazione dell’articolo 36 Cost., conferisce efficacia generale.
A questo punto del dibattito può essere utile una breve rassegna della legislazione degli altri Paesi, concentrando poi l’attenzione sui casi più importanti (si veda infra per Francia, Germania e Regno Unito). Come ha certificato l’Istat in audizione al Senato, il salario minimo è stato istituito nella gran parte dei paesi dell’Unione europea, con l’eccezione dell’Austria, della Danimarca, della Finlandia, della Svezia, di Cipro e dell’Italia; dal 1° gennaio 2015, è stato introdotto anche in Germania. Gli importi mensili (lordi) pubblicati da Eurostat due volte l’anno, al primo gennaio 2019 variano dai 286 euro della Bulgaria (pari a 1,62 euro orari) ai poco più di 2.000 del Lussemburgo (2.071, pari a 11,97 orari); questi importi riflettono anche ampie differenze strutturali tra paesi nelle retribuzioni medie, nella produttività del lavoro e nel potere di acquisto. Nei Paesi dell’Unione europea – come l’Italia – in cui non vi è un salario minimo per legge, la sua adozione è di fatto sostituita dai minimi previsti nei contratti collettivi.
Sulla base delle ultime informazioni disponibili, nel 2017 per i paesi europei in cui è stato istituito il salario minimo, è possibile osservare il suo peso sui salari medi mensili. Il range è compreso tra il 51,7% della Slovenia e il 36,9% della Spagna. In Germania e Regno Unito questa proporzione è pari rispettivamente al 41,4 e 44,6%, mentre per la Francia si attesta nel 2015, ultimo anno disponibile, al 47,1%.
Il compenso orario minimo in Francia, Germania e Regno Unito
Francia. Il salario orario minimo garantito è definito “salaire minimum interprofessionnel de croissance” (Smic) ed è stato istituito nel 1970 con la Loi n. 70-7 du 2 janvier 1970 portant réforme du salaire minimum garanti et création d’un salaire minimum de croissance. Tale salario ha preso il posto del “salaire minimum interprofessionnel garanti” (Smig), che era stato istituito nel 1950. Dal 1970 fino al 2009 l’importo dello Smic era rivalorizzato il 1° luglio di ogni anno. Dal 2010 ne è previsto un rialzamento il 1° gennaio di ogni anno. L’importo dello Smic è stabilito mediante decreto. A partire dal 1° gennaio 2014, il salario orario minimo garantito è di 9,53 euro. Dopo le sommosse del Gilet gialli il Presidente Macron ha promesso un aumento di 100 euro al mese, ma gli esperti sostengono che si tratti di un intervento su di un istituto parallelo allo Smic (il ne s’agirait pas d’une hausse du Smic, mais d’un coup de pouce donné à la prime d’activité).
Germania. Con la Legge che disciplina il salario minimo garantito è stato introdotto, a partire dal 1° gennaio 2015, il compenso minimo (Mindestlohn) di 8,50 euro lordi all’ora. Dopo mesi di trattative tra i sindacati e le associazioni di imprenditori, il provvedimento di iniziativa governativa è stato approvato con una larga maggioranza sia dai partiti di Governo (Cdu/Csu e Spd), sia dai Verdi (solo Die Linke si è astenuta), ottenendo 535 voti a favore e 5 contrari, mentre le astensioni sono state 61. La misura riguarderà circa 3,7 milioni di lavoratori. Sono esclusi i giovani di età inferiore ai 18 anni, i lavoratori stagionali e i venditori di giornali. La norma è entrata in vigore il 1° gennaio 2015, ma sono previsti due anni di transizione di cui potranno beneficiare alcuni settori. Finora, la Germania era uno dei sette paesi dell’Unione europea (tra cui l’Italia) a non aver introdotto il salario minimo nazionale. La riforma è stata considerata una vittoria dei sindacati e del Partito socialdemocratico che ha condotto la sua campagna elettorale nel 2013 concentrandosi su questo tema. In Germania lo Stato si è sempre tenuto fuori dalla contrattazione tra sindacati e aziende e anche in questo caso la gestione del salario minimo sarà affidata a una commissione indipendente (Mindestlohnkommission) formata da rappresentanti di categoria. Nel 2019 il salario minimo garantito è stato elevato a 9,19 euro/ora.
Regno Unito. Il compenso orario minimo è disciplinato da oltre 15 anni (National Minimum Wage Act 1998) ed è corrisposto a coloro che si trovano all’interno di determinate fasce di età o che hanno un contratto di apprendistato. Gli importi in vigore dal 1° ottobre 2014 (contenuti nelle National Minimum Wage Regulations 1999, come modificate dalle National Minimum Wage (Amendment) (No 2) Regulations 2014) sono i seguenti: £ 6,50 all’ora (8,23 euro) per coloro che hanno dai 21 anni in su; £ 5,13 all’ora (6,50 euro) per coloro che hanno dai 18 ai 20 anni; £ 3,79 all’ora (4,80 euro) per coloro che hanno dai 16 ai 17 anni; £ 2,73 all’ora (3,46 euro) per coloro che hanno un contratto di apprendistato (previsto per quanti hanno un’età compresa tra i 16 e i 18 anni e per quanti hanno dai 19 anni in su a condizione che siano alla loro prima esperienza lavorativa).