Il “lifelong learning”, cioè il continuo aggiornamento delle competenze di ogni persona durante tutto lo sviluppo della vita e della professione, è sin dal Consiglio di Lisbona del marzo 2000 considerato lo strumento preferenziale per l’Unione europea per sviluppare una società basata sulla conoscenza, sullo sviluppo e sulla crescita sostenibile. Il principio è quello legato alla possibilità da parte di ogni individuo di continuare ad accrescere e ad aggiornare le proprie competenze, sfruttando esperienze in ambienti diversi e metodologie, anche non convenzionali, con lo scopo primario di progredire e migliorare la propria vita, ma favorendo al contempo lo sviluppo delle organizzazioni, in primis quelle lavorative, che lo vedono coinvolto nello svolgimento in condivisione delle proprie attività.
Un’interessante indagine pubblicata da Inapp (ex Isfol) nei giorni scorsi evidenzia come la necessità di un continuo aggiornamento delle competenze diventi indispensabile per le aziende per cogliere in modo rapido le opportunità di crescita connesse alle nuove tecnologie. In particolare, l’indagine “Pec-Inapp su professioni e competenze nelle imprese”, basandosi su un campione di 35.000 imprese, rivela che il 35,2% di esse dichiara di avere in azienda almeno una figura per la quale si registra un fabbisogno da soddisfare nell’arco dei prossimi mesi con specifiche attività di aggiornamento. La rilevazione evidenzia inoltre che i settori dove si rilevano i fabbisogni più elevati sono quelli dei segmenti della manifattura a più alta intensità tecnologica, quali chimica, elettronica, metalmeccanica, acqua e rifiuti, ma sono comunque particolarmente rilevanti anche nell’ambito dei servizi che riguardano le attività di istruzione, sanità e servizi alla persona e alle imprese.
Come ci si potrebbe aspettare, i gruppi professionali maggiormente interessati sono quelli legati alle professioni tecniche e a quelle qualificate nelle attività commerciali e nei servizi. È chiaro, come del resto i dati confermano, che la dimensione dell’azienda costituisce un parametro fondamentale rispetto alla difficoltà, che si riscontra in particolare nelle piccole e medie aziende, di prevedere i propri fabbisogni e di mettere in atto strategie per il potenziamento delle competenze, con una richiesta di aggiornamento di competenze manifestata dal 76,6% delle imprese che hanno tra i 50 e i 249 dipendenti e dall’87% delle aziende che hanno più di 250 dipendenti.
Tralasciando ulteriori approfondimenti statistici riportati dallo studio, un’analisi anche non troppo approfondita dei dati sopra riportati porta a considerare che nel tessuto industriale italiano formato in modo prevalente da piccole e medie imprese, la necessità più importante allo stato attuale è quella di poter dare alle aziende degli strumenti per valutare in modo prospettico le loro esigenze formative e in conseguenza fornir loro sistemi adeguati per aggiornare le competenze del personale.
Il passaggio non è di poco conto se si considera che per decenni il ruolo della formazione è stato completamente delegato alla scuola (solo per gli aspetti formativi di base) e solo in pochi casi virtuosi si sono riuscite a sviluppare alleanze e interazioni tra sistema produttivo e sistema formativo. C’è da dire poi che già da diversi anni, soprattutto spinti da una parte dalle associazioni datoriali e dalle organizzazioni sindacali dall’altra, si sono sviluppati strumenti, quali i fondi interprofessionali o facilitazioni per l’aggiornamento individuale, che in modo purtroppo a volte poco organico, intervengono comunque per rispondere alle necessità di formazione continua dei singoli e delle aziende.
Si prospettano quindi due grandi temi. Il primo è legato alla necessità di un cambio importante di filosofia riguardo ai rapporti tra sistemi formativi e sistemi produttivi e dei servizi. Nell’integrazione e nella contaminazione di ambienti e metodologie didattiche si possono trovare soluzioni virtuose utili sia alla persona che potrà considerare la formazione come libera forma di promozione personale, sia all’organizzazione che potrà avvalersi delle nuove competenze dei singoli per far progredire il sistema. Il secondo, spesso trascurato, legato alla necessità di contare su formatori aggiornati e competenti. È forse questo il tema sul quale varrebbe la pena di investire di più sia in termini economici che di scelte strategiche.
Nel nostro Paese manca un vero e proprio sistema strutturato di formazione dei formatori e trasferire competenze sia di tipo tecnico che di metodo è un’attività complessa che necessita di formazioni specifiche. Una “grande alleanza” tra scuola e lavoro probabilmente potrebbe servire anche e soprattutto in questo caso.