Con regolarità si registra una distanza fra la formazione acquisita dalla forza lavoro e le esigenze delle imprese. Ormai quasi stabilmente si constata che vi sarebbe circa un milione di posti di lavoro che non vengono coperti per mancanza di lavoratori in possesso delle competenze o della formazione richiesta. Un’indagine svolta da Inapp ci dice che anche fra i lavoratori occupati cresce il numero di figure professionali che necessitano di percorsi formativi di aggiornamento per poter mantenere la capacità produttiva in essere o sviluppare la propria attività. È l’effetto del cambiamento tecnologico in corso che impatta su professioni e modelli organizzativi e induce la richiesta di nuova formazione in campo tecnologico, ma anche di acquisire competenze relazionali più sviluppate per migliorare il lavoro di squadra sempre più richiesto.
I risultati dell’indagine indicano che oltre il 35% delle imprese con almeno un dipendente (oltre 550.000 aziende) dichiara di avere almeno una figura professionale che dovrà avere un percorso di aggiornamento nei prossimi mesi. Erano circa il 32% le imprese che facevano una dichiarazione analoga tre anni fa. I settori produttivi che registrano una maggiore domanda di aggiornamento sono quelli manifatturieri con maggiore uso di tecnologia (chimica, elettronica, energia-acqua-rifiuti e metalmeccanica). Ma è in forte crescita la domanda di formazione anche per i servizi alla persona e nella sanità, per i settori dell’istruzione e della comunicazione, per i servizi finanziari e alle imprese.
Per quanto riguarda i gruppi professionali, quelli che esprimono il maggiore fabbisogno di aggiornamento sono le professioni qualificate nelle attività commerciali e nei servizi (29,2%), i lavori operai di tipo artigianale e specializzato (20,9%), le professioni esecutive in lavori di ufficio e professioni tecniche (20%). All’interno dei grandi gruppi di professioni le esigenze di aggiornamento coinvolgono sia figure apicali (imprenditori e alta dirigenza soprattutto nei settori finanziari in genere, ma anche nei servizi commerciali e di vendita), sia le figure professionali tecniche e impiegatizie, operai specializzati e artigiani, conduttori di impianti e macchinari e anche professioni non qualificate come pulizia alloggi, logistica e imballaggio.
Il fabbisogno di aggiornamento riguarda ovviamente la formazione relativa all’introduzione di nuovi macchinari con nuovi automatismi e sistemi di controllo sempre più tecnologici. Ma l’impatto dell’intelligenza artificiale e delle analisi dei big data sull’organizzazione del lavoro fa emergere una domanda di capacità nelle persone che è di maggiore adesione e comprensione dei processi produttivi.
Tre sono le competenze nuove più richieste per tutti i gruppi professionali: capacità di gestire le relazioni, capacità di analisi e problem solving e capacità di pianificare attività e risorse. La capacità di gestire aspetti tecnici o le competenze logico-matematiche sono presenti, ma solo per le professioni che le richiedono esplicitamente. Le tre segnalate sono invece richieste da oltre il 45% delle risposte per tutte le categorie professionali prese in considerazione.
Abbinate a queste capacità individuali che vengono considerate indispensabili per l’organizzazione del lavoro futuro si richiedono conoscenze specifiche soprattutto nella gestione di impresa, scienze ingegneristiche e tecnologiche e scienze umanistiche. Queste sono quelle richieste per tutte le professioni, mentre poi le conoscenze specialistiche si abbinano alle singole professioni per definire le figure professionali nella loro completezza.
In questo quadro da cui emerge come anche per gli occupati vi sia una domanda crescente di abbinamento di soft skills con la conoscenza specifica e tecnica dei processi di produzione emergono alcune linee di policy su cui riflettere. In primo luogo, va sostenuta la formazione lungo tutta la vita lavorativa delle persone e va favorito l’accesso di tutte le imprese. L’analisi fornita da Inapp, infatti, riguardava tutte le imprese con almeno un occupato, ma i risultati hanno fatto emergere che sono state in grado di rispondere solo le imprese dai 50 dipendenti in su e in proporzione crescente al crescere del numero dei dipendenti.
Il nostro tessuto di piccole e medie imprese rischia perciò di entrare in una fase di grande cambiamento e non trovarsi coinvolta da un’offerta formativa di aggiornamento che dovrebbe rivolgersi in primo luogo proprio all’imprenditore. Se non avverrà questo si corre il rischio di non cogliere l’esigenza né del cambio di tecnologia, né di nuovi modelli di organizzazione della produzione e dei servizi.
I soggetti di rappresentanza delle imprese, i fondi intraprofessionali e le stesse Camere di commercio dovrebbero avviare una massiccia campagna di orientamento coinvolgendo imprenditori e lavoratori del ricco tessuto di Pmi per permettergli di far diventare questa fase di cambiamento un’occasione di formazione per la modernizzazione delle imprese. Il mismatch presente sul mercato del lavoro fra competenze richieste dalle imprese e formazione della forza lavoro rischia di ampliarsi anche a una quota di occupati. Investire di più in formazione è indispensabile per aumentare l’occupabilità del capitale umano e creare più occupazione.