In un’intervista rilasciata la scorsa settimana a Repubblica, il Segretario generale della Cgil Maurizio Landini ha lanciato un’invito a Governo, a partiti di maggioranza e opposizione, a sindacato e impresa per tracciare in modo condiviso un percorso di sviluppo per il Paese. Le sue parole hanno avuto un seguito breve, soltanto per un paio di giorni si è parlato della sua proposta: avendo, infatti, indicato nel “tributo di equità contro le diseguaglianze” la soluzione per finanziare lo sviluppo, la discussione si è fermata alla “patrimoniale” – con questo nome tale tributo è meglio conosciuto – e non è decollata.
La patrimoniale è argomento piuttosto remoto, l’ipotesi non piace nemmeno al Pd di Zingaretti. Anzitutto, i patrimoni immateriali (il denaro) possono facilmente sfuggire al fisco perché oggi è facile spostarli all’estero; le grandi proprietà materiali, invece, sono di pochi e una tassa sugli immobili finirebbe inevitabilmente – se deve essere efficace – per colpire il ceto medio, già sufficientemente provato dagli anni della crisi e, come noto, da una tassazione di per sé tra le più alte d’Europa.
Pensiamo tuttavia che della proposta di fondo di Landini si tornerà a parlare. “Bisogna avere un’idea di Paese”, dice il Segretario della Cgil; e “occorre un piano straordinario di investimenti pubblici e privati che si inserisca in un’idea di sistema basata su un nuovo modello di sviluppo”. Se si fosse fermato a questo, la discussione sarebbe ancora in fieri.
Che sia Landini a lanciare questo invito al Paese pare interessante per diverse ragioni. La Cgil resta una grande e influente organizzazione; e si consideri, inoltre, che per quasi vent’anni il sindacato confederale ha mancato di visione (e di azione) unitaria anche per una posizione piuttosto isolata della stessa Cgil e per le tensioni (oggi alle spalle) tra la confederazione e la sua categoria più forte, quella dei metalmeccanici guidata proprio da Maurizio Landini. Oggi, è proprio con Landini alla guida della Cgil che il movimento sindacale si sta ricompattando. Ed è proprio Landini a risultare figura trainante di questo processo. Per i più, che lo ricorderanno contrapposto a Marchionne, sembrerà un paradosso; ma è così.
Venendo al dunque, l’idea di Paese è ciò di cui siamo alla ricerca da molto tempo e, soprattutto oggi, l’Italia rischia un forte contraccolpo se non si attrezza: la recessione avanza, gli investimenti calano e gli investitori si allontanano, l’occupazione non cresce, l’impresa soffre… la crisi è tutt’ora presente ma se si sta a guardare, se non si adottano misure forti, è ancora più difficile arginarla. Lo stesso rallentamento dell’economia tedesca, registrato qualche giorno fa, è un segnale preoccupante se si considera il nostro export verso la Germania e che, a livello europeo, stiamo parlando dell’economia trainante : gli ordini industriali sono crollati inaspettatamente a febbraio (-4,2%, il ribasso più forte da due anni a questa parte); su base annua si è registrata una flessione dell’8,4% e i cinque principali istituti di ricerca tedeschi (Ifo, Iwh, Diw, IfW e Rwi) hanno più che dimezzato le stime di crescita del Pil tedesco nel 2019 tagliandole allo 0,8% dall’1,9% stimato nel rapporto di settembre. In generale, è tutta l’Europa che cresce poco, a parte il nostro Paese che da due trimestri è addirittura in recessione. E la scarsa fiducia degli investitori che si registra in questo momento fa pensare che serva una terapia d’urto per invertire la rotta.
L’invito di Landini, considerato in questo senso, è cosa positiva. Bisogna che Governo e Parti sociali trovino capacità di “fare sistema” e di far partire un progetto di lungo periodo per il Paese. È questa, tra l’altro, la sintesi della posizione dell’Ocse per cui si è irritato l’attuale ministro dello Sviluppo economico.
Resta la questione salariale, su cui la stessa Confindustria ha mostrato più di un’apertura per il taglio del cuneo fiscale a vantaggio dei lavoratori: le retribuzioni in Italia sono ferme a vent’anni fa. È chiaro che non è solo una questione riconducibile allo “scambio” tra impresa e lavoro, ma anche a un sistema che si è innovato poco e che strutturalmente – fisco, burocrazia, giustizia, energia, infrastrutture, ecc. – offre condizioni non facilitanti per lo sviluppo d’impresa. Una crescita del potere d’acquisto può certamente incidere sulle sorti dell’economia.
Dove trovare le risorse per finanziare lo sviluppo è un’altra storia, ma se c’è la volontà politica le risorse si trovano. Il punto è semmai, cosa fare delle risorse, come spenderle.
In ultimo, sono da tener presente almeno due variabili: in primis, la nuova stagione europea che è alle porte, presumibilmente permetterà più flessibilità ai paesi in difficoltà (e l’Italia è tra questi); in secondo luogo, dopo le elezioni europee, in Italia potremmo trovarci con un Governo diverso da questo, magari di centrodestra. Auguriamoci che si riesca ad aprire un “cantiere Italia” al di là dell’instabilità politica che ci caratterizza.
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