Il congedo di paternità, ossia quello speciale congedo fruibile dal lavoratore padre con l’obiettivo di essere più presente e vicino al bambino in occasione del parto e nei primi mesi di vita dello stesso, potrebbe non essere rinnovato per l’anno a venire. Non vi è infatti, a oggi, traccia nella Legge di Bilancio per il 2019 del rifinanziamento di tale previsione normativa.
Il congedo di paternità fu introdotto come misura sperimentale dall’articolo 4, comma 24, lettera a), della Legge 28 giugno 2012, n. 92 (Legge Fornero). La normativa originaria prevedeva il diritto per i lavoratori padri di fruire entro il quinto mese di vita del bambino, di due giorni, anche non continuativi, di congedo in aggiunta e del tutto autonomi dalla fruizione da parte della madre del congedo di maternità obbligatorio o facoltativo. L’articolo 1, comma 354, della Legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Legge di bilancio 2017) ha prorogato il congedo obbligatorio per i padri lavoratori dipendenti anche per le nascite avvenute nell’anno solare 2017 e ha previsto, per l’anno solare 2018, l’aumento del suddetto congedo da due a quattro giorni.
Nonostante le rassicurazioni pervenute da parte di diversi esponenti della maggioranza di governo sul rifinanziamento della misura in questione, tuttavia, a oggi il tema non è ricompreso tra gli interventi di cui alla Legge di bilancio per il 2019, con la concreta possibilità che, quindi, a partire dal 1° gennaio 2019 tale strumento sia destinato a scomparire. Tra l’altro, da più parti si richiede a gran voce che la misura sia stabilizzata e che, anche al fine di favorire una maggiore gender equity in famiglia, il numero di giorni fruibili da parte dei padri venga innalzato dagli attuali quattro a dieci.
L’inerzia del legislatore italiano sul punto, che come detto potrebbe comportare la scomparsa di tale strumento, va di pari passo con le difficoltà riscontrate dalla Commissione europea nel far approvare una specifica Direttiva comunitaria che vada a normare questo stesso aspetto. La Commissione, infatti, ha adottato nell’aprile 2017 una propria proposta per una direttiva sul bilanciamento tra vita familiare e lavorativa come parte delle iniziative connesse al Pilastro Sociale dell’Unione europea. La proposta di direttiva portata avanti dalla Commissione affronta anche la tematica dei congedi di paternità con il fine di intervenire su un terreno dove, attualmente, non esistono standard comuni europei. A riguardo, la proposta della Commissione prevede che tutti i padri lavoratori debbano essere in grado di poter fruire al momento della nascita del bambino di almeno dieci giorni di congedo da retribuirsi con l’indennità prevista per la malattia.
L’adozione da parte della Commissione della proposta legislativa in parola ha dato il via alla procedura ordinaria di co-decisione da parte del Parlamento e del Consiglio. Entrambi gli Organi legislativi hanno proposto modifiche e integrazioni e la proposta, così come formulata, ha riscontrato numerose resistenze da parte di alcuni governi nazionali che, considerando l’intervento una indebita ingerenza della Commissione, ne hanno rallentato l’iter di approvazione.
A riguardo, in numerosi settori, la promulgazione di una normativa quadro europea sotto forma di Direttiva ha di sicuro stimolato l’adozione di puntuali discipline nazionali. Con riferimento alla questione dei congedi di paternità, infatti, l’attuale quadro europeo presenta fondamentali e marcate differenze di tutele. Sei Paesi europei, infatti, non prevedono alcuna forma di congedo di paternità; mentre in sette esistono già i congedi parentali, ma non sono remunerati. In molti altri Paesi, invece, la disciplina sui congedi presenta forti variazioni che portano a livelli di tutele fortemente differenziati.
Per quanto riguarda l’Italia, come visto, con la prossima Legge di bilancio il Governo dovrà decidere se confermare o meno il congedo di paternità già esteso nel 2018 e/o se rendere tale intervento strutturale. La conferma di questo provvedimento e la sua estensione permetterebbero al nostro Paese di allinearsi anzitempo alla futura normativa comunitaria che, una volta appianate le divergenze tra i paesi membri, potrebbe essere emanata all’interno del pacchetto normativo in materia di bilanciamento della vita familiare e lavorativa. Qualora, invece, la scelta governativa andasse nella direzione di un mancato rifinanziamento della misura in esame, ci si potrebbe trovare nella paradossale situazione di eliminare un importante e utile istituto e di doverlo successivamente reintrodurre sulla base della normativa comunitaria in futuro emanata.