Sono dati di un certo rilievo quelli che emergono dall’annuale rapporto sulla condizione occupazionale e formativa dei diplomati, pubblicati in questi giorni dall’associazione Almadiploma, soprattutto se confrontati con più ampie e strutturate analisi demografiche, come ad esempio i dati Istat sull’occupazione di ieri. Una premessa è d’obbligo, infatti, in relazione al campione di rilevazione, non basato su criteri statistici, con uniforme distribuzione sul territorio nazionale, ma su una rilevazione dei dati delle scuole associate ad Almadiploma. Un’altra precisazione è relativa al fatto che dei 47 mila diplomati nel 2017 contattati tramite sistema Cawi (intervista e-mail), solo il 22,6% ha risposto con un minimo del 14,2% per i diplomati degli istituti professionali, mentre la percentuale di chi ha riposto dei circa 37 mila diplomati 2015 è del 19,7% con un minimo anche qui per i diplomati professionali del 10,7%.



Quanto viene delineato nell’indagine è comunque un quadro variegato che può far riflettere su alcune tendenze che emergono soprattutto dal confronto dei dati relativi ai diplomati del 2015 con quelli dei diplomati 2017. Il primo argomento considerato dallo studio è quello della valutazione del diplomato sul percorso di studi effettuato. Alla vigilia della conclusione degli studi, il 56% dei diplomati 2017 dichiarava di essere soddisfatto della scelta effettuata, mentre il restante 44% riteneva di aver compiuto una scelta sbagliata, con il 23,7% convinto che sia l’istituto che la tipologia di studi non fossero i più adatti alla propria formazione. Le percentuali cambiano leggermente in positivo nelle interviste effettuate un anno dopo il diploma con il 58,6% che rifarebbe la stessa scelta e il 41,3% che avrebbe preferito frequentare o un istituto diverso, o un corso di studi diverso, o entrambi.



Sono dati che seppur con qualche variazione rispetto alle precedenti rilevazioni, ribadiscono un’importante problematica: circa un quarto dei diplomati ritiene di non aver effettuato la scelta di studi più opportuna. L’analisi che se ne può trarre è che nonostante gli sforzi costanti nell’orientare studenti e famiglie in uscita dalle scuole medie, la complessità e disorganicità del sistema “scuola superiore” oltre ai pregiudizi culturali e familiari, inducono a scelte inappropriate e a una conseguente insoddisfazione che sfocia poi in successive difficoltà occupazionali.



Il secondo tema preso in esame è quello relativo alla prosecuzione degli studi o all’inserimento lavorativo. A un anno dal diploma il 66,8% degli intervistati prosegue la formazione ed è iscritto a un corso universitario, con un 15,7% che studia e lavora. Il 20% circa si è inserito direttamente nel mondo del lavoro, mentre l’8,3% è in cerca di occupazione. C’è poi un 5,1% che non cerca lavoro in quanto impegnato in corsi di formazione post secondaria come gli Its.

Il dato, che a prima vista sembrerebbe positivo, considerata la spesso ricordata bassa percentuale di laureati nel nostro Paese rispetto alla media europea, dovrebbe essere confrontato con le elevate percentuali di abbandoni o di studenti inattivi, che caratterizzano i nostri corsi di laurea e che ad avviso di chi scrive sono solo in parte riportati nell’analisi Almadiploma che vede circa il 15% degli intervistati dichiarare di aver abbandonato gli studi o cambiato corso di laurea. In questa valutazione sembra opportuno ricordare che solo il 20% circa del campione ha risposto all’intervista e che sembra naturale pensare che, tra coloro che non hanno risposto, alto sia il numero di chi ha lasciato gli studi e abbia un certo ritegno nel comunicarlo.

Nella scelta di proseguire gli studi con l’Università, oltre al voto di diploma medio alto, assume una certa importanza il contesto socio-economico e culturale familiare che vede un’elevatissima percentuale di iscritti all’università (82%) provenire da contesti economicamente favoriti, mentre l’84% dei diplomati che ha deciso di iscriversi all’Università ha almeno un genitore laureato. Anche in questo caso, come per la scelta della scuola superiore, si nota come il contesto culturale e le condizioni economiche della famiglia influenzino in modo sostanziale le scelte dei diplomati.

Un ultimo tema di interesse è relativo all’ingresso dei diplomati nel mondo del lavoro, alla luce anche dei dati Istat che vedono nell’ultimo trimestre del 2018 la conferma di un leggero aumento su base annua degli occupati, soprattutto tra i giovani e una diminuzione del 4,0% dei disoccupati e dell’1,5% degli inattivi. A un anno dal titolo risulta occupato (con contratti di vario genere) il 35,5% dei diplomati 2017 dei quali il 15% studia e lavora contemporaneamente. Le percentuali cambiano se rilevate a tre anni dal titolo con il 45,0% dei diplomati occupati stabilmente, dei quali il 20% studia e lavora. Sempre tra i diplomati 2015 che hanno un lavoro, come del resto ci si potrebbe attendere, il 67% proviene dagli istituti professionali, il 57,4% dai tecnici, mentre il 34,6% tra i liceali.

A proposito degli occupati, due aspetti emergono in modo chiaro. Il primo è che coloro che hanno al loro attivo esperienze di Alternanza Scuola Lavoro o di stage organizzati dalle scuole hanno il 40,6% di possibilità in più degli altri di trovare lavoro. Tale vantaggio risulta chiaramente molto più evidente nei diplomati tecnici e professionali, dove le esperienze relative sono state quantitativamente e qualitativamente più di spessore. Il dato è importante e una volta in più porta a pensare che le scelte ministeriali di riduzione dell’esperienza dell’Alternanza Scuola Lavoro dovrebbero essere riviste.

La seconda è che tra i diplomati che lavorano solo il 17,8% dichiara di utilizzare le competenze acquisite nel corso di studi, mentre il 40,9% dichiara di utilizzarle in forma contenuta. Ne deriva che ben il 40,8% è stato preparato per competenze che non sono utilizzate nella fase lavorativa. Quest’ultimo dato sembrerebbe testimoniare di una scuola media superiore non più sufficiente per un ingresso diretto nel mondo del lavoro con la conseguente necessità di favorire strumenti di formazione terziaria professionalizzante come gli Its.

In conclusione, i dati rilevati nello studio Almadiploma, pur nei limiti del campione valutato, descrivono un sistema formativo in evoluzione, ma con evidenti necessità di interventi strutturali, primo tra tutti una semplificazione del sistema degli indirizzi e dei curricoli della scuola superiore e un incremento del sistema terziario professionalizzante.