È stata depositata alla Camera dai Deputati di Forza Italia una proposta di legge per favorire l’occupazione femminile specialmente al Sud che prevede che per ogni assunzione di una donna a tempo pieno o parziale, con contratto almeno annuale, aggiuntiva rispetto al monte contratti dell’anno precedente, l’impresa riceva un credito fiscale pari all’Irpef calcolato sul contratto delle lavoratrici aggiuntive. La proposta si applica alle otto regioni italiane con il più basso tasso di occupazione femminile, come riportato annualmente dall’Istat. La proposta – si pensa – potrebbe così assicurare una percentuale maggiore di donne al lavoro e l’esistenza di un doppio reddito per la coppia, la diffusione di servizi per l’infanzia dove l’occupazione femminile è virtualmente alta e la stabilità del lavoro prima e dopo la gravidanza, sia per le donne sia per gli uomini, aiuterebbe la crescita economica.
Se natalità fa rima con lavoro, con occupazione femminile, con servizi per l’infanzia, la questione risorse per sostenere un provvedimento siffatto deve tenere conto di due aspetti. Il primo: si consideri che già ora con il Fondo sociale europeo le regioni beneficiano di un regolamento che prevede diverse agevolazioni per i datori di lavoro e tra queste è importante segnalare quelle previste per chi vuole assumere donne disoccupate. Tra queste vi è il bonus assunzioni donne al Sud e nei settori con il 25% di disparità occupazionale di genere, ma le agevolazioni non riguardano soltanto le situazioni di crisi complessa.
Gli incentivi per l’assunzione di donne possono essere fruiti dai datori di lavoro su tutto il territorio nazionale con specifiche modalità e regole. Per tutti i datori di lavoro privati è prevista la possibilità di usufruire dei benefici contributivi stabiliti con la Legge Fornero 2012 e ripristinati dall’Inps con il messaggio 6319/2014. L’agevolazione prevede, in linea di principio, uno sgravio contributivo del 50% proporzionale alla modalità di assunzione e alla tipologia contrattuale. Dunque lo strumento ci sarebbe già, ma evidentemente non viene usato mentre prolifera il lavoro irregolare. Proprio al Sud. L’altro aspetto, che riguarda anche il finanziamento dei congedi di paternità che di seguito affrontiamo, è riferito al mancato uso, proprio per sostenere la genitorialità e la maternità in un Paese dove è scarsissimo l’investimento di risorse per le politiche della comunità familiare, dello strumento della bilateralità, già più volte apparentemente sostenuto dagli accordi confederali in materia contrattuale. Perché soprattutto nell’applicare la contrattazione di secondo livello in materia di organizzazione del lavoro, orario e flessibilità produttiva e congedi parentali non si allarga l’utilizzo dei fondi bilaterali oltre che per la formazione anche per il welfare appunto aziendale.
È indispensabile in caso di maternità, paternità, cure parentali i permessi siano con forza sostenuti dal fondo bilaterale aziendale. È un principio di sussidiarietà che funzionerebbe a beneficio della comunità lavorativa valorizzando la reciprocità tra lavoratori e lavoratrici e datori di lavoro. Così appunto dicasi per i congedi di paternità per il 2019 passati da 4 a 5 più un altro giorno facoltativo da eventualmente sottrarre ai permessi di maternità retribuiti secondo la norma (l‘articolo 1, comma 278, lett. A e b), della legge 30 dicembre 2018, n. 145 – Legge di bilancio 2019.
Vero è che il provvedimento è riferito al solo anno 2019, ma ci dovremo adeguare e in fretta alle disposizione Ue. Infatti, il 4 aprile scorso sono state approvate in una Direttiva europea e in via definitiva delle nuove misure per facilitare la conciliazione tra lavoro e vita famigliare. La direttiva stabilisce che tutti gli Stati membri, nel tentativo di aumentare le opportunità delle donne nel mercato del lavoro e rafforzare il ruolo del padre o di un secondo genitore, a beneficio dei bambini e della vita familiare, devono irrobustire le tutele. Si tratta di: 1) almeno 10 giorni lavorativi di congedo di paternità retribuito per i giorni vicini alla nascita a un livello non inferiore all’indennità di malattia (in Italia il congedo è di 5 giorni, più un giorno facoltativo previo accordo con la madre e in sua sostituzione); 2) due mesi di congedo parentale non trasferibile e retribuito che sarà un diritto individuale; 3) la fissazione di un livello adeguato di retribuzione per il periodo minimo non trasferibile di congedo parentale, tenendo conto del fatto che questo spesso comporta una perdita di reddito per la famiglia e che invece anche il familiare più retribuito (spesso un uomo) dovrebbe potersi avvalere di tale diritto; 4) cinque giorni all’anno di congedo per i lavoratori che prestano assistenza personale a un parente o a una persona che vive nella stessa famiglia a causa di un grave motivo medico o infermità connesse all’età; 5) lavoro flessibile: i genitori e i prestatori di assistenza che lavorano potranno richiedere modalità di lavoro adattabili, ricorrendo al lavoro a distanza o a orari flessibili per poter svolgere le loro mansioni; 6) i datori di lavoro potranno tener conto non solo delle proprie risorse, ma anche delle esigenze specifiche di un genitore di figli con disabilità, o una malattia di lunga durata, e dei genitori soli.
Sono misure importanti che l’Ue impone a tutti gli Stati membri, ma non si realizzano da Bruxelles se manca la conoscenza del diritto nei diversi paesi dalle forze interessate e non c’è la consapevolezza che sono indispensabili. I/le cittadini/e si debbono attrezzare per ottenerne l’applicazione da parte degli Stati. E noi dovremo recepirla in fretta la direttiva, vista la situazione drammatica della disoccupazione femminile e giovanile e le culle italiane sempre più vuote. E le risorse sono fondamentali e possono essere trovate sostenendo appunto lo strumento della bilateralità che diventa fondamentale per far ripartire anche l’economia di un Paese solidale e responsabile e che di responsabilità sociale dell’impresa ne fa un valore aggiunto formidabile.