Gli anziani di oggi non sono più quelli di una volta, così come il lavoro di oggi non è più quello di una volta. Negli ultimi cinquant’anni, ma soprattutto con la svolta del millennio, si sono accumulati tanti e tali cambiamenti che, mentre aprono nuove opportunità, creano l’esigenza di affrontare con prospettive diverse le dimensioni politiche e sociali sui temi del lavoro, delle pensioni, della spesa pubblica.



Il più grande cambiamento è quello demografico. Il combinato disposto di calo delle nascite e allungamento della speranza di vita sta portando, in tutti i paesi occidentali, ma in misura ancora maggiore in Italia, a un ampliamento delle fasce di età più alte: gli over 65 hanno ormai superato gli under 15.

In secondo luogo ci sono i progressi della medicina che vanno di pari passo con il miglioramento complessivo della qualità della vita, delle abitudini alimentari, della capacità di mantenersi in buona salute. Questo fa sì che si sposta in avanti anche l’età in cui si ha la maggiore insorgenza di malattie croniche e almeno parzialmente invalidanti: fino a pochi anni fa gli over 65 erano considerati anziani, ora questo passaggio viene posto tra i 70 e i 75 anni.



Poi ci sono le trasformazioni del mercato del lavoro: l’ingresso sempre più intensivo delle procedure informatiche che se da una parte hanno sollevato dagli impegni più gravosi e competitivi, dall’altra stanno progressivamente riducendo il numero di occupati a parità di produzione. Senza dimenticare gli effetti di una globalizzazione che ha portato di fatto a un mutamento profondo della divisione del lavoro e con la spinta, per paesi come l’Italia, a sviluppare le produzioni ad alto valore aggiunto puntando sulla qualità e su di un’innovazione non essenzialmente tecnologica: basti pensare ai settori della moda, dell’arredamento, di tutto quanto può essere collegato al design.



In questo scenario non si possono coerentemente affrontare queste nuove prospettive con i vecchi metodi: solo per fare due esempi, pensando che si possano creare posti di lavoro per i giovani mandando in pensione anticipata persone che anziane non sono, oppure che si possano incentivare i giovani a trovare o crearsi un lavoro dando loro un reddito garantito anche se non fanno nulla.

Ci sono enormi problemi economici, in prima fila quello della sostenibilità di un sistema previdenziale che deve pagare rendite sempre più a lungo a persone a cui si anticipa l’età della pensione. Ma ci sono insieme ancora più grandi e sottovalutati problemi antropologici per non emarginare persone, gli “anziani”, che hanno ancora grandi potenzialità e conoscenze e che peraltro grazie a nuove prospettive di impegno e di lavoro possono mantenersi in buona salute a tutto vantaggio dei costi della sanità.

Le tante prospettive di cui bisogna tener conto sono analizzate nei contributi raccolti da Lorenzo Cappellari, Claudia Lucifora e Alessandro Rosina nel libro “Invecchiamento attivo, mercato del lavoro e benessere” (Il Mulino, pagg. 260, euro 25). “L’invecchiamento attivo – afferma il presidente, pro tempore, dell’Inps, Tito Boeri – è un’assoluta necessità per un Paese in declino demografico come il nostro. Non possiamo più permetterci gli attuali tassi di attività fra chi ha più di 55 anni. Non possiamo più permetterci di avere solo un quinto delle persone con meno di 75 anni che lavorano una volta percepita la pensione e solo 6 italiani su cento che tra i 66 e i 75 anni svolgono una qualche attività lavorativa”. E ancora, sostiene Boeri, che “la grande sfida che ci sta di fronte consiste nel cercare di mettere in moto un ciclo virtuoso in cui l’invecchiamento attivo contribuisce a ridurre la non-autosufficienza per gli anziani e al tempo stesso a finanziare le spese di una long-term care a sua volta indirizzata a consentire il più possibile un invecchiamento attivo”.

Certo, non è facile. Soprattutto se si dipinge il lavoro come una fatica alienante da abbandonare il più presto possibile. Ma, come ha ripetuto spesso papa Francesco, al lavoro è strettamente connessa la dignità e l’identità della persona. “Fondata sul lavoro”, vorrà pur dire qualcosa.