Nel tennis e nella pallavolo si chiama match point il punto finale che aggiudica la vittoria. Non credo che i due vicepresidenti del Consiglio si cimentino in questi sport. Al massimo li vedo giocare a ping pong o a biliardino; ma tra di loro è in corso una sfida per decidere chi deve sacrificare un po’ delle risorse che, nel disegno di legge di bilancio, sono attribuite, nell’articolo 21, ai due fondi-bandiera della Lega (riforma pensioni  e quota 100) e del M5S (il reddito di cittadinanza e dintorni). In sostanza, a chi tocca pagare il conto di un gentlement’s agreement con l’Ue. 



La mediazione non è a portata di mano; le soluzioni non sono contenute negli emendamenti presentati in Commissione dal Governo e dai relatori. Si dice che saranno presentate, in appositi emendamenti, al Senato; ma è più probabile che vi sia un rinvio a disegni di legge collegati. Intanto, “questi qui” (è una definizione che Filippo Ceccarelli ha coniato per i nuovi governanti) hanno inventato un altro imbroglio: gli stanziamenti contenuti nella manovra di bilancio sarebbero di manica larga, tanto che si potrebbe tagliare l’ammontare senza dover ridurre la platea e tradire le promesse elettorali. Ovviamente, fino a quando la carta non canterà e non si potranno leggere le norme (accompagnate dalla Relazione tecnica della RGS con tanto di “bollinatura” degli articoli di spesa) il Governo avrà buon gioco a menare il can per l’aia. Basta seguire i dibattiti sui media: sotto l’incalzare delle obiezioni di quanti sanno fare un po’ di conti, la risposta è sempre la solita: aspettate i testi, poi ne riparliamo.



Il fatto è che tutti gli osservatori sostengono che già gli stanziamenti previsti non sarebbero stati sufficienti ad assicurare un’adeguata copertura, a meno che non fossero intervenute delle misure di contenimento. Rileggiamo quanto ha ripetuto più volte un esperto del calibro di Alberto Brambilla sulle pensioni: “Al momento non esiste nulla di scritto, il meccanismo non è definito e c’è solo il fondo da 6,7 miliardi nel primo anno e 7 per i successivi. Dire quanto costa significa buttare un numero a caso. Quota 100 può essere costruita in molti modi. Se viene fatta come abbiamo suggerito i costi sono sostenibili”. “È chiaro che se diciamo ‘tutti a casa’, cioè tutti quelli che hanno almeno 62 anni di età e 38 di contributi possono andare via senza perdere nulla, arriviamo a un costo tra i 13 e i 15 miliardi di euro. Ma ci sono diversi paletti per limitare la spesa”. “Premesso che quota 100 è un’opzione volontaria si potrebbe pensare, e c’ è nel programma, che tutti quelli che sceglieranno questa strada avranno il ricalcolo contributivo della pensione maturata dopo l’entrata in vigore della riforma Dini, cioè dopo il primo gennaio del 1996. È anche una questione di equità perché quelli che matureranno i requisiti dal 2023 avranno già il calcolo contributivo”.



È ipotizzato anche un limite per il riconoscimento della contribuzione figurativa ai fini della determinazione dell’anzianità (esclusa la maternità e il servizio militare) e l’introduzione di “finestre” soprattutto nel pubblico impiego. “Ma queste sono opinioni sue”, ribattono gli esponenti del Governo. Che dire allora dell’Ufficio parlamentare del bilancio il cui presidente Giuseppe Pisauro ha consegnato in Parlamento una nota nella quale non vi sono giri di parole: “Qualora effettivamente l’intera platea potenziale del 2019 utilizzasse il canale di uscita a ‘quota 100’ appena soddisfatti i requisiti, nell’ipotesi di assenza di finestre e quindi di assegno pensionistico erogato già a partire dal mese successivo alla maturazione di tali requisiti si può stimare un aumento della spesa pensionistica lorda di quasi 13 miliardi nel 2019. Questa spesa, incrementata per i probabili effetti amministrativi che si determineranno tra il primo e il secondo anno per effetto dell’entrata a regime dell’anticipo pensionistico, rimarrebbe sostanzialmente stabile negli anni successivi solo se si ipotizzano per il requisito anagrafico della quota 100 gli stessi adeguamenti automatici alla speranza di vita previsti dal sistema vigente (in assenza di questa ipotesi sarebbe crescente, nel tempo, il lasso temporale di anticipo massimo rispetto ai requisiti Fornero e di conseguenza sarebbe crescente la spesa lorda)”. 

Quanto al reddito di cittadinanza è sufficiente confrontarsi con una calcolatrice. Si sono promessi 780 euro lordi mensili ai “poveri”. Quale sarà la platea? E con quali criteri sarà individuata? Le famiglie in condizione di povertà assoluta sono stimate pari a 1,8milioni; quelle con Isee inferiore a 9.630 euro annui (se sarà questo il requisito) sono 2,5 milioni (dati 2016); quelle con Isee zero (al lordo delle truffe) sono circa 469mila. Se a queste ultime fosse erogato il reddito di cittadinanza in misura di 780 euro occorrerebbero ben 4,4 miliardi sui 9 miliardi. Così, in pratica, un quinto dei potenziali aventi diritto assorbirebbe circa la metà degli stanziamenti previsti nella legge di Bilancio. Per gli altri 2 milioni rimarranno 4,6 miliardi di euro:  in questo caso l’importo medio mensile scenderebbe per la stragrande maggioranza dei beneficiari a 184,15 euro al mese. Un po’ poco per sconfiggere la povertà e assicurare la felicità agli italiani.