Alla fine è stata varata l’ormai pluricitata “Quota 100”, che ricorda con il passaggio “…le parole sono stanche..” la bella canzone di Giorgia, tema del non meno famoso film di Ozpetek “La finestra di fronte”. Per commentare la misura si può dire cosa non è Quota 100, vessillo della battaglia anti Fornero innalzato in campagna elettorale sotto il grido di battaglia “Cancelleremo la Fornero”, trasformato in un’affermazione a mezza voce” Supereremo la Fornero”.



Il provvedimento, affidato a un decretone collegato alla Legge di bilancio, non è quindi né un’abrogazione di una legge di Stato, né una riforma, né una risistemazione/rivisitazione che contempli con tempi e procedure il traguardo dell’orizzonte di superamento: cioè l’altrettanto pluricitata Quota 41 liberi tutti.



Non è poi una novità, perché rispolvera (e non poteva fare altrimenti con il mal scopiazzamento grazie al quale Quota 100 è nata) quanto girava tra gli scaloni Maroni e gli aggiustamenti di Damiano, il tutto fermatosi a quota 95/97. Soprattutto non è una novità di rilievo e tantomeno significativa perché non risolve il percorso incrociato tra flessibilità e anticipazione dei requisiti che era germinata sulla pensione di anzianità, divenendo appunto pensione anticipata, con un ben altro livello di soglia di equilibrio collegata al requisito dell’aspettativa di vita come gancio di traino della pensione di vecchiaia.



Di fatto i corifei sono stati obbligati a un bagnetto di realismo (il bagno sarebbe ben altra cosa) alle pur rispettabili azioni a favore di un sommovimento sperimentale mirante allo switch tra lavoratori anziani e giovani parcheggiati in un asfittico mercato del lavoro.

È chiaro che tutto ciò ha richiesto dei contrappesi che consistono nel porre Quota 100 a sperimentazione triennale con tagliandi di controllo “made Inps” in cooperazione con il dicastero del Lavoro. Condizione molto simile all’Ape Renzi/Gentiloni con Nannicini. Ma non solo ha istituzionalizzato a sistema previdenziale il credito fornitori a 90 giorni, salvando tuttavia i dipendenti pubblici dall’angustia dell’attesa per una liquidazione del Tfs che in Italia Centrale era già stata ironicamente classata a “Babbo morto”. In definitiva in due hanno recitato il mantra “L’avevamo promesso e l’abbiamo fatto”.

Poiché come gens tendiamo ad avere sulle promesse elettorali memoria corta, va comunque bene così, anche se con tutti i miliarducci stanziati qualche segno di matita blu lo meritano. Tuttavia, come si dice a scuola, “non eccellono, ma ci mettono la buona volontà”. Qualcosa comunque è stato portato a casa ora, anche se non è facile immaginare le ricadute future. Ora per ora hic et nunc non hanno fatto guai peggiori perché di Quota 41 se ne parlerà secondo le dichiarazioni nel 2022. Nella limitata contentezza che non esalta ma nemmeno rinnega, anzi, che l’attenzione a una vasta platea di destinatari, come reddito/pensione di cittadinanza, opzione donna e Quota 100, c’è stata, si suggerisce di utilizzare bene i tempi futuri, perché una riforma delle pensioni in un Paese demograficamente debole come il nostro (e Blangiardo più che all’Istat dovrebbe andare all’Inps) è ben altra cosa.