Il d.l. n. 4/2009 contiene molteplici misure in materia previdenziale, anche non relative ai trattamenti pensionistici. Soprattutto di questi, però, si occupano le disposizioni più importanti, con l’obiettivo dichiarato di anticipare l’accesso dei lavoratori alla pensione, rispetto alle condizioni stabilite dal d.l. n. 201/2011, meglio noto come “legge Fornero”. E anche molte disposizioni “non” pensionistiche rappresentano per lo più dei corollari di tale obiettivo e vanno, perciò, letti nella sua prospettiva.



Poiché è legittimo supporre che il testo varato dal Governo non subirà sostanziali modifiche in sede di conversione, si possono individuare alcune direttrici lungo cui si dipana quell’obiettivo, anche per cercare di valutarne la portata effettiva.

Va ricordato che la legge Fornero prevede due tipologie di pensione, quella di vecchiaia e quella anticipata. Per la prima sono attualmente necessari 20 anni di anzianità contributiva e 67 anni di età (più, per la pensione contributiva, un livello minimo del trattamento). La seconda matura, a prescindere dall’età anagrafica, quando il lavoratore o la lavoratrice posseggano, rispettivamente, 42 anni e 10 mesi o 41 anni e 10 mesi di anzianità contributiva. Soltanto per i lavoratori in regime contributivo (cioè con contribuzione esclusivamente successiva al 1° gennaio 1996), l’accesso anticipato è consentito anche a 63 anni di età, con 20 di contribuzione e purché questa garantisca una certa misura della pensione. Peraltro, tratto peculiare della legge Fornero è la variabilità in aumento di tutti i requisiti, anagrafici e non, in forza degli adeguamenti periodici (dal 2019 biennali) alla variazione della speranza di vita. Con l’effetto di allungare sine die, nel lungo periodo, il tempo di lavoro delle persone.



Rispetto a questo quadro, limitandoci agli interventi più rilevanti, una prima direttrice incide direttamente sui requisiti anagrafici e/o contributivi. Da un lato, “pensione quota cento” è una nuova ipotesi di “pensione anticipata”, cui può accedere chi sia in possesso di un requisito costruito come somma di almeno 38 anni di anzianità contributiva e 62 di età, conseguiti anche in regime di cumulo. Dall’altro, si cristallizza il requisito contributivo di 42/41 anni e dieci mesi (uomini/donne) per l’accesso alla pensione anticipata a prescindere dall’età anagrafica, sottraendolo alla regola dell’adeguamento alla speranza di vita.



Per altro verso, al medesimo risultato si arriva in via “indiretta”, in particolare con l’ampliamento della facoltà di riscatto dei periodi coperti di contribuzione che, ove sfruttata, consente di conseguire più facilmente il requisito contributivo per la pensione. In questa linea si colloca anche l’ennesima proroga dell’Opzione donna, resa applicabile alle lavoratrici con almeno 35 anni di contribuzione e un’età anagrafica di 58/59 anni (lavoratrici subordinate/autonome), non soggetta agli incrementi della speranza di vita.

Entrambe le direttrici, peraltro, sono soggette a limitazioni. Pensione quota cento è introdotta in via sperimentale fino al 2021 – come pure la facoltà di riscatto di cui s’è detto -, la sua decorrenza è posticipata (da tre a sei mesi) rispetto alla maturazione del diritto e non è cumulabile se non in misura molto limitata. Con buona probabilità ciò comporterà la definitiva uscita dal mercato del lavoro del pensionato, diversamente da quanto accade oggi. A “opzione donna” è reso applicabile il regime delle decorrenze pre-Fornero, con un rinvio da un anno a diciotto mesi del godimento della pensione. La cristallizzazione della pensione anticipata a 42/41 e 10 mesi è temporanea, perché dal 2027 riprenderanno ad operare gli adeguamenti alla speranza di vita. Così facendo, sul piano politico, il Governo si intesta la scelta anticipatoria, mostra di preoccuparsi dei problemi di sostenibilità del sistema, mentre rimette la patata bollente a un futuro esecutivo, quale che sia.

Va poi evidenziata la maggiore gravosità per i dipendenti pubblici dell’accesso a quota cento sia in termini di preavviso sia di decorrenza della pensione sia di accesso al trattamento di fine servizio. A giustificazione del trattamento deteriore starebbero ragioni di continuità e di buon andamento dell’azione amministrativa, insieme a esigenze di contenimento dei costi: non può non notarsi, tuttavia, una sorta di pena del contrappasso previdenziale per i dipendenti pubblici, rispetto a quelli privati, in rapporto alle maggiori garanzie di cui i primi godono sul piano del rapporto di lavoro.

Sperimentalità della pensione quota cento, temporaneità del blocco degli adeguamenti alla speranza di vita, decorrenze posticipate: tutti elementi che segnalano l’orizzonte temporalmente limitato dell’intervento. Nascosta tra i dettagli rispunta la testarda realtà dei sistemi previdenziali, per loro natura proiettati sul lungo periodo e perciò dotati di un’intrinseca connotazione solidaristica intergenerazionale, a prescindere dalla gestione a ripartizione delle risorse.