Sembra che, alla fine, il Governo italiano cederà “con fermezza” alle pressanti richieste della Commissione europea di rivedere la Legge di bilancio per il 2019 a partire dai suoi due elementi qualificanti rappresentati da quota “100” (la contro-riforma delle pensioni) e dall’inserimento nel nostro ordinamento della misura del “reddito di cittadinanza” sulla cui concreta applicazione circolano ancora varie, e diverse, ipotesi di applicazione.



Tempo per riflettere sul come procedere, bisogna dirlo onestamente, non è certamente mancato, ma non sarà un eventuale slittamento di pochi mesi a modificare il giudizio, positivo o negativo che sia, su questa nuova misura, almeno nell’ottica dei proponenti, di contrasto alla povertà. Correva, infatti, l’anno domini 1997 quando una Commissione speciale, voluta dall’esecutivo di allora per approfondire le compatibilità macroecono­miche della spesa sociale, con specifico riferimento ai temi della previdenza, della sanità e della previdenza, presieduta dal prof. Onofri, proponeva di lanciare il “minimo vitale”.



Già nel secolo scorso si evidenziava, infatti, l’assenza in Italia di uno schema di reddito minimo per chi è totalmente sprovvisto di mezzi, nonché di una rete adeguata di servizi per le famiglie presente, altresì, in tutti i paesi europei più sviluppati. Già oltre 20 anni fa, insomma, risaltava come, in termini comparati, la situazione della spesa sociale nel nostro Paese apparisse sbilanciata a favore delle pensioni. Un dato, inoltre, questo, che prospetticamente rendeva più fragile la tenuta del nostro welfare state a causa della stretta dipendenza del sistema pensionistico dall’invecchiamento più rapido della popolazione.



In quel contesto il minimo vitale proposto rappresentava uno strumento indirizzato alle fasce più deboli della società che si proponeva di aiutare tutti coloro che avevano risorse inferiori a una certa soglia di reddito ed era costruito in modo da attenuare la trappola della povertà dal momento che si prevedeva una reintegra solo parziale della distanza tra le risorse economiche a disposizione del soggetto in difficoltà e la soglia di povertà.

Nonostante, insomma, fosse stata evidenziata, già negli anni ’90, la necessità di una misura di questo tipo, nulla, o perlomeno poco, è stato fatto negli anni scorsi da governi di vario colore con l’eccezione rappresentata dell’approvazione del Rei nella fase finale della scorsa legislatura.

Il reddito di cittadinanza, come promesso/proposto nell’ultima campagna elettorale e inserito nell’ormai noto contratto per il governo del cambiamento, sembrava porsi, tuttavia, obiettivi più ambiziosi e, per certi aspetti, storici. Pare, però, che, alla fine, come troppo spesso nel nostro paese, l’elefante partorirà un topolino pur arrivando al momento delle decisioni con oltre 20 anni di ritardo e, probabilmente, posticipando ancora un po’ il tempo delle scelte.