Il reddito di cittadinanza, come le pensioni a quota 100, è stato approvato dal Governo. La misura partirà da aprile, riguarderà 5 milioni di persone che si trovano sotto la soglia di povertà assoluta e avrà una durata di 18 mesi: entro i primi 12 la prima offerta di lavoro potrà arrivare nel raggio di 100 km; se rifiutata, la seconda potrà riguardare un raggio di 250 km e se anche questa viene rifiutata la terza offerta potrà arrivare da tutta Italia. Dopo il primo anno, anche la prima offerta potrà arrivare fino a 250 km, mentre la terza potrà arrivare da tutto il territorio nazionale; dopo i 18 mesi tutte le offerte possono arrivare da tutto il territorio nazionale. Per accedere al Rdc è necessario essere cittadini italiani, europei o lungo soggiornanti e risiedere in Italia da almeno 10 anni, di cui gli ultimi due in via continuativa e avere un Isee inferiore a 9.360 euro annui. Il patrimonio immobiliare, diverso dalla prima casa di abitazione, può ammontare fino ai 30mila euro annui, mentre il patrimonio finanziario non deve essere superiore a 6mila euro, che può arrivare fino a 20mila per le famiglie con persone disabili. Il provvedimento è corposo, dettagliato, e ora la domanda che tutti si fanno è: funzionerà?



“La prima impressione – risponde Luigi Campiglio, professore di politica economica all’Università Cattolica di Milano – è che si nota un impegno attento ai dettagli. Difficile dire se sufficiente, perché il provvedimento è grosso come entità di persone e risorse coinvolte, però indubbiamente c’è stato un approfondimento serio. Ora reddito di cittadinanza e quota 100 dovranno fare i conti con le dinamiche dei mercati internazionali, che sono al di fuori del controllo del Paese, ma anche su questo punto mi pare ci siano clausole cautelative, legate al progressivo monitoraggio delle misure. Secondo me, in itinere ci dovranno essere, e ci saranno, degli aggiustamenti perché a livello centrale non si possono immaginare tutte le possibili situazioni familiari”.



Ma il RdC così come è stato disegnato potrà essere davvero efficace?

Il reddito di cittadinanza va diviso in due: quello riguardante le pensioni e quello per chi lavora. Sul primo fronte, non sottovaluterei il fatto che l’evoluzione demografica di questi anni ha portato a far emergere un bisogno crescente di situazioni di forte disagio per disabilità, in particolare legate all’anzianità, che sono ormai un fatto sociale oltre che economico. Sociale, perché si tratta in molti casi di donne sole; economico, perché la responsabilità effettiva ricade su famiglie che nello stesso momento hanno già dei figli e hanno un doppio onere: un malato non autosufficiente in casa e i figli che crescono. Siamo in mezzo a un guado non facile. Ed è una questione strutturale che andrà affrontata dentro il RdC: al momento si può solo dire, per questa situazione che coinvolge tre diverse generazioni, che le risorse che girano sono sempre le stesse. Si riscontra comunque un’attenzione, che in passato non c’era, per provvedimenti strutturali più che per interventi spot, tipo il bonus bebè, assai altalenante. Questo è il lato positivo.



E l’aspetto più problematico?

Il carcere fino a 6 anni per chi vuole fare il furbo: si capisce bene l’intenzione, fungere cioè da deterrente contro le truffe ed evitare così lo spreco di queste risorse, ma non è credibile. Sarebbe più utile un bagno di onestà da parte di tutti: l’Isee è notoriamente uno strumento piuttosto elastico. Premesso che statisticamente una minima percentuale di chi fa il furbo ci sarà sempre, il carcere fino a 6 anni non sta in piedi. Pensi cosa vorrebbe dire mettere in galera uno che ha percepito il Rdc, avendone anche il bisogno, ma essendo fuori di poco dai parametri Isee… A questo punto andrebbe rivolto a tutte le istituzioni che lavorano nel sociale l’invito a essere le prime a rendere edotti coloro ai quali calcolano l’Isee che esso adesso diventa una cosa molto seria.

E per chi lavora quanto potrà essere efficace il Rdc?

Il tallone d’Achille sta nel fatto che per essere efficace il Rdc deve essere applicato correttamente. Solo in tal caso può diventare una sorta di ombrello in caso di pioggia. Se nei prossimi mesi ci si renderà conto che la congiuntura sarà davvero così negativa – e conferme su questo rischio sono arrivate ancora ieri dal taglio delle stime di crescita annunciato da Bankitalia -, il Rdc può certamente dare più robustezza e tranquillità nella transizione – lo sottolineo, nella transizione – verso un cammino di ripresa. Questo è il punto vero. Siamo un Paese in cui il Pil pro capite oggi è quello di 20 anni fa, siamo tornati indietro, in una situazione che ora richiede una spinta in avanti forte, solidale, dell’intero Paese verso una crescita buona. Personalmente avrei preferito un rilancio subito attraverso una politica di investimenti, di cui il Paese ha bisogno, a partire da quelli pubblici.

Ma a questo punto il reddito di cittadinanza, annunciato per sette mesi, è diventato realtà…

Occorre allora che diventi uno strumento valido per consentire la transizione, in cui ci ritroviamo da anni, verso un cammino di crescita sostenibile. Il Rdc è una rete di sicurezza dentro cui alcune modalità di impresa e di ricerca del lavoro possono essere fatte meglio. È comunque un miglioramento tangibile, piccolo ma strutturale, del nostro Stato sociale.

La norma prevede che sia escluso dal beneficio chi non sottoscrive il Patto per il lavoro e per l’inclusione sociale. Che ne pensa? Rende la misura un po’ meno assistenzialistica e un po’ più orientata alle politiche attive?

In linea di principio sì. Ma tutto dipende da come la si applica. Mi domando: questo Patto chi lo sottoscrive? Dovrebbero sottoscriverlo i componenti della famiglia maggiorenni che fruiscono di quella componente di reddito. Ma questi percorsi formativi di riqualificazione come sono disegnati? Sono gratuiti? Immagino di sì. Si tratta di dettagli, è vero, ma non dimentichiamoci che il diavolo si nasconde sempre nei dettagli. C’è indubbiamente uno spazio per progetti seri, di riqualificazione, senza una garanzia a priori che corrispondano a un lavoro entro i 100 o 250 km, ma è chiaro che se la formazione è seria, prima o poi qualcosa arriverà.

Questo processo coinvolgerà a fondo tutor, Centri per l’impiego e Agenzie per il lavoro?

Maggiore è lo spazio imprenditoriale dei singoli, oltre che delle imprese, maggiore sarà la probabilità che questi progetti poi si concretizzino in un lavoro e in un reddito.

Per usufruire del Rdc bisogna rientrare in precisi parametri reddituali, patrimoniali e finanziari dell’Isee. Che ne pensa di queste soglie?

Le trovo un po’ troppo ipotetiche, non sono certo scritte nel marmo. Non disponiamo ancora di dati che ci consentano di dire che quelle sono le soglie giuste.

Faccia un esempio.

I 30mila euro Isee per il patrimonio immobiliare in un’area agricola del Sud possono corrispondere a un’accogliente casa colonica, ma a Milano sono cosa ben più misera e diversa. E proprio su questo punto, restando nell’ambito dei miglioramenti da apportare in itinere, ma non troppo in là nel tempo, è giusto ricordare che oggi, molto più che 10 o 20 anni fa, i costi condominiali, di manutenzione e di gestione sono diventati rilevanti anche per le case di proprietà. E le stesse condizioni delle abitazioni e di chi ci vive variano molto. Dunque, al di là del lavoro di screening che potrà fare l’Inps, occorre decentrare le verifiche secondo il principio di sussidiarietà: la valutazione deve sempre più diventare vicina ai bisogni delle persone, coinvolgendo enti, corpi intermedi e soggetti che vivono a stretto contatto con le famiglie e con le loro situazioni di disagio. Il dato fondamentale è che ogni nucleo famigliare ha le sue esigenze.

La norma prevede già differenti tipologie e situazioni di disagio famigliare…

Presumo siano state ricavate dall’indagine Istat sulle povertà, ed è un bel passo avanti, un fatto certamente positivo, ma non basta. Bisogna tenere conto dei bisogni concreti. Non dico di andare troppo nel particolare, perché significherebbe deresponsabilizzare troppo le persone, però possono esserci notevoli eterogeneità. Le situazioni famigliari vanno valutate non proprio caso per caso, ma quasi.

Il vicepremier Luigi Di Maio ha salutato l’introduzione del reddito di cittadinanza affermando che “ridisegna il welfare state in Italia”. È così?

L’introduzione del Rdc non è un elemento che automaticamente genera crescita per il Paese, ma certamente ha le potenzialità, perché le reali garanzie le vedremo nel tempo, di fornire una rete di sostegno nei momenti di difficoltà. A tal proposito vorrei ricordare un fatto non sufficientemente riconosciuto per la portata che ha avuto.

Quale?

L’esempio di un Paese, il Regno Unito, che fino al 2010 ha avuto uno stato sociale ben funzionante, poi per vari motivi, legati alla crisi, il governo britannico ha deciso di attuare una politica di pesante austerity, tuttora in corso, che ha colpito tutti gli ambiti esclusa la tutela della sanità.

Con quali risultati?

Ciò ha provocato un crescente disagio generalizzato e diffuso, da spingere i cittadini britannici a individuare negli immigrati i capri espiatori di una restrizione senza precedenti dello Stato sociale. Dal 2010 al 2016 in Gran Bretagna la spesa pubblica per la protezione sociale è diminuita di 6 punti di Pil. Stiamo dunque attenti, perché le spending review dello stato sociale non solo non sono indolori, ma rischiano di provocare, se non fatte bene in modo chirurgico, pericolosi squilibri negli assetti di armonia sociale costruiti in decenni.

Rispetto al caso inglese, il reddito di cittadinanza è un buon correttivo per evitare queste disarticolazioni della coesione sociale?

Direi di sì. Noi siamo l’unico Paese a non avere una forma minimale di reddito di cittadinanza che si chiama salario minimo. Minimale, perché riguarda le persone e non le famiglie. Il Rdc in linea di principio è molto più ambizioso: riguarda la famiglia, il lavoro, la promozione sociale. Dobbiamo quindi auspicare che venga migliorato in itinere e che funzioni, andando così a coprire molti aspetti delle risorse destinate allo stato sociale. Che poi ciò avvenga, è nelle mani di chi governa, a cui spetta il compito di prendere le decisioni giuste.

(Marco Biscella)