Accompagnare giovani, e adulti, nella definizione del proprio progetto formativo e/o professionale e nella gestione di particolari momenti di transizione. È il caso, ad esempio, degli studenti in passaggio da diversi ordini e gradi scolastici, o in uscita da percorsi formativi, dei lavoratori che desiderano cambiare occupazione o fare il punto della propria situazione professionale o delle persone disoccupate o inoccupate in cerca di lavoro o in reinserimento lavorativo.



Fornire, quindi, assistenza, suggerimenti, e consigli alla persona aiutandola a individuare le scelte più coerenti con le sue aspirazioni, attitudini, competenze e motivazioni, attraverso attività di accoglienza, consulenza informativa, colloqui, bilanci di competenze, azioni di formazione orientativa, definizione del progetto personale-professionale , accompagnamento alla ricerca attiva e all’inserimento lavorativo. Sono queste, in sintesi, le principali attività che, repertorio dei profili professionali alla mano, caratterizzano il lavoro dell’orientatore. Lo saranno anche per i “nuovi” navigator introdotti nel nostro ordinamento dal reddito di cittadinanza?



Questo sembra essere il punto centrale del dibattito tra politici e operatori sul reddito che verrà (ma già in progress) e sull’ipotesi di riforma dei servizi, e delle politiche, per il lavoro immaginata dal Governo Conte. Talvolta viene da chiedersi che cosa ne avrebbe pensato il prof. Marco Biagi di cui proprio due giorni fa, per San Giuseppe o, più laicamente, per la festa del papà, si è ricordato l’anniversario del barbaro assassinio davanti al portone di casa, nella sua Bologna, da parte delle nuove Brigate rosse.

È, certamente, più semplice sapere cosa stanno immaginando i suoi “allievi” dell’associazione Adapt fondata da Biagi e guidata poi da Michele Tiraboschi, il suo più stretto collaboratore. Si scopre così che si sta realizzando un mooc (un corso di formazione on line aperto) che aspira a creare una vera e propria “comunità di apprendimento”, fatta di aspiranti “navigator” nonché esperti di welfare e politiche attive, disponibili a essere parte di un esercizio collettivo di condivisione e “ricerca partecipata”, che si fonda sul confronto sull’analisi delle evidenze empiriche date dai bisogni reali dei cittadini.



Uno strumento, insomma, che con sano realismo “riformista” e innovatore si pone l’obiettivo di far dialogare gli operatori del sistema lavoro sui cambiamenti in corso, ma che, probabilmente, ha anche l’obiettivo, o l’ambizione, di fornire, dal basso, stimoli utili a una politica che parla molto di partecipazione, e condivisione, ma che (troppo spesso) non la pratica.