Il Gran visir del reddito di cittadinanza (Rdc), il prof. Pasquale Tridico, non lesina puntuali informazioni sullo sviluppo della sua creatura. Il fatto è che i dati mandano spesso segnali diversi da previsioni e aspettative. In una nota, ripresa da Pmi, il commissario/presidente dell’Inps fa sapere che più di un sussidio su dieci, erogato a titolo di Rdc, è di fatto è una pensione di cittadinanza (Pdc), versata a nuclei con componenti ultra 67enni. In pratica, su 488mila domande accolte (fra quelle presentate in marzo, primo mese di applicazione della misura), sono 58mila le pensioni di cittadinanza, il 12% del totale. Il trend risulta molto simile anche considerando la situazione aggiornata allo scorso 10 maggio: 1 milione 125mila domande presentate, di cui 168mila per la pensione di cittadinanza.
Tridico indica una quota di accettazione delle domande intorno al 73-75%, con il 14% circa rappresentato da Pdc (circa 118mila trattamenti). Come viene sottolineato nella nota, si tratta di cifre che non corrispondono al numero delle pensioni inferiori a 780 euro al mese, che il reddito di cittadinanza dovrebbe riuscire a integrare, e che sono più di 3 milioni. Ma anche per questo trattamento vigono i medesimi requisiti per l’accesso del Rdc. Le pensioni di cittadinanza che verranno liquidate in virtù delle domande presentate in questi due mesi, in pratica, coprono poco più del 3% della platea degli aventi diritto inizialmente considerata. Insomma, anche in questo caso, il cavallo beve ma con parsimonia, tanto che in ambienti governativi si fanno già i conti su come utilizzare il miliardo di euro (in realtà potrebbe essere un importo superiore di almeno il 50%) che sarebbe risparmiato rispetto agli stanziamenti previsti nella Legge di bilancio e confermati nel decreto n.4 del 2019.
Al netto delle spese di contorno (Centri per l’impiego, accordi con i Caf, nuove assunzioni, ecc.) l’ammontare delle risorse destinate alle prestazioni nell’anno in corso era cifrato in 5,6 miliardi. È quindi probabile che, a questo titolo, siano impiegati soltanto 4 miliardi, una somma importante, ma sostenibile, se si pensa che l’erogazione degli 80 euro mensili, che contribuirono – come si disse a suo tempo – al successo del Pd di Matteo Renzi nella precedente consultazione elettorale per il Parlamento europeo, sono costati ben 10 miliardi su base annua.
Il principale difetto del Rdc è un altro. Ed è ormai venuto apertamente alla ribalta: quello della dissociazione tra l’intervento assistenziale e la promozione di politiche attive, che rimane non solo teorica, ma che finisce per scoraggiare, con i vincoli richiesti, persino la presentazione della domanda per il Rdc. Tornando ai numeri sarebbe il caso di conoscere quale risulti essere l’importo medio erogato a titolo di Rdc. Sulla base di questo dato si potrebbe fare un confronto con il Rei.
L’Osservatorio sul Reddito di inclusione (Rei) ha pubblicato i dati del 2018, anno in cui sono stati riconosciuti benefici economici a 462.170 nuclei familiari, raggiungendo 1.329.325 persone. La maggior parte dei benefici sono stati erogati al Sud (68%), con interessamento del 71% delle persone coinvolte. Il 47% dei nuclei beneficiari del Rei risiede in due regioni: Campania e Sicilia. Calabria, Lazio, Lombardia e Puglia coprono un ulteriore 28% dei nuclei. Il tasso di inclusione del Rei, ovvero il numero di persone coinvolte ogni 10mila abitanti, nel 2018 risulta pari a 220. Raggiunge i valori più alti in Sicilia, Campania e Calabria (rispettivamente 634, 603 e 447) e i valori minimi in Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige (37 e 28).
L’importo medio mensile del Rei erogato nel 2018, pari a 295,88 euro (sarà competitivo con quello del RdC?), è variabile a livello territoriale, con un intervallo che va dai 237,01 euro per la Valle d’Aosta ai 327,63 euro per la Campania. Ma non c’è solo questo aspetto di cui tenere conto. È noto, infatti, che le risorse destinate all’erogazione economica del Rei, sono state trasferite ed accantonate nell’ambito del nuovo Fondo per il reddito di cittadinanza, riducendo, conseguentemente, a decorrere dal 2019, le relative risorse del Fondo povertà previste per tale misura. Per il 2019, il limite di spesa per l’erogazione dei benefici economici del Rei era determinato in poco meno di 2,2 miliardi circa. Gli stanziamenti erano previsti in diminuzione: 2,15 miliardi per il 2020 e 2,13 miliardi annui dal 2021. Queste risorse hanno quindi contribuito alla copertura finanziaria del Rdc, a conti fatti, per una buona metà.
Inoltre, sugli andamenti un po’ stitici delle domande per l’accesso alla nuova prestazione pesa un altro fattore che viene sostanzialmente ignorato nel dibattito. Il requisito riguardante la residenza almeno decennale penalizza gli stranieri, dove si concentra un numero rilevante di famiglie povere: almeno un terzo dei poveri conclamati è composto, infatti, da stranieri e dalle loro famiglie. Come ricorda il Centro studi di Itinerari previdenziali: “Volendo comunque utilizzare i dati Istat ufficiali si scopre che l’incidenza della povertà si attesta su valori molto elevati in particolare tra le famiglie con componenti stranieri: nel 2017 circa il 30% delle famiglie composte da soli stranieri era in condizione di povertà assoluta (percentuale 6 volte superiore a quella degli italiani), con punte che superavano il 40% nel Mezzogiorno”.