Historia magistra vitae. Così disse Cicerone e poi, nei secoli che furono, altre menti declinarono diversamente o similmente. Venne quindi il XX secolo, secolo delle ideologie e di terribili tragedie. Così raffinatissimi intellettuali teorizzarono della fine della storia, e altri si contrapposero in dispute sapienti e sottili. Ma quelli erano francesi, statunitensi, inglesi, tedeschi: che ne potevano sapere loro della storia? Noi italiani, noi sì che possiamo saperne, perché la storia “ce l’abbiamo fatta noi”. E se loro schierarono i Francis Fukuyama, “noi ci rispondiamo” con i Toninelli, i Di Maio, i Giggino a’ Purpetta. E la storia la riscriviamo se non ci piace: perché la storia è del popolo e non viceversa.
Oddio che accanto alla nemesi storica esista anche quella geografica l’aveva intuito già quella bell’anima di Guareschi, ma il male oscuro che ci sta guidando ad affidarci a una coppia formata da un ipovedente e che suggerisce la rotta a un ipoacusico, ora che le elucubrazioni parascientifiche sono assurte al ruolo di credibilità, ora che si assiste ad affermazioni che perfino il tollerantissimo medioevo avrebbe rigettato, ebbene ora “a noi ci cadono le braccia”. Perché se anche uno che non dovrebbe, a rigor di date di nascita, essere andato a scuola insieme al ministro Bonafede, uno che nelle scuole di partito ci è nato e vissuto, che ha frequentato corsi di formazione, uno come Landini, inizia a sparare bestemmie storiche, ecco anche chi ha una fede incrollabile nel futuro come noi, comincia a temere. Sì comincia a temere che la sola soluzione a tutto sia ritirarsi, moglie permettendo, in un rifugio di altissima montagna ad aspettare la fine del tempi.
Il buon Landini, come noto, è candidato a succedere da qui a qualche mese a Susanna Camusso alla testa del più grande sindacato italiano la Cgil e siccome siamo in campagna elettorale e per la prima volta nella storia del suo sindacato non sarà mica il solo candidato, l’ex segretario Fiom ha voluto inviare qualche segnale di fumo, qualche indicazioni di pace. Ma mica l’ha lanciato all’esterno, agli altri sindacati, quanto invece all’interno, ai suoi elettori. Landini, infatti, in un impeto di riflessione storica molto “dimaiana”, ha promesso che lui segretario lavorerà per l’unità sindacale perché, in fondo, fino alla fine della Seconda guerra mondiale, la Cgil era una sola e poi interessi di partito fecero nascere Cisl e Uil.
Sia chiaro, in quest’epoca in cui si esalta il corpo a corpo con i congiuntivi e i condizionali, si giustifica la confusione tra 360 e 370 gradi, si sostituiscono passi a tunnel, ecco ci sta pure che uno spieghi la storia in modo, come dire, schematico e quindi parziale e quindi sbagliato. Ma noi sappiamo che Landini i corsi di formazione li ha svolti ed erano tenuti da gente seria e competente; e sappiamo che il suddetto Landini quei corsi li ha frequentati con profitto. E quindi ci poniamo l’accademica domanda: ma perché spara tali castronerie?
Perché? Perché?, ma ovviamente, perché il problema è spiegare ai suoi avversari interni, che non sono né pochi né marginali, che in fondo lui non porterà mica la Cgil a una nuova stagione di scontri e di divisioni. Che la sua segreteria sarà in linea di continuità con quel tradizionale realismo cigiellino che, a dire il vero, negli ultimi anni ha subito qualche ammaccamento, ma che resta ancora uno dei fondamentali di quell’associazione. Nello stesso tempo in cui si copre a destra, per così dire, però Landini assicura anche i suoi della sinistra: perché a loro è destinata quella finissima analisi storica per cui Dc e Psi avrebbero creato due sindacati per opporsi alla unità sindacale rappresentata dalla Cgil.
Evocare i nomi di Dc e Psi, nella mente di molti coincide con l’evocare i volti di Andreotti e Craxi, il fantasma del diabolico pluriministro depositario di tutti i peggiori segreti italiani, e del cinghialone che emarginò il Pci spingendolo fuori dai giochi della Prima Repubblica. Significa dire che la Cgil tornerà, dopo una breve parentesi settantennale, unitaria: manca solo l’evocazione del proletariato mondiale, la convocazione delle Donne per la Pace, e ci sembrerebbe di essere tornati nei felici anni Cinquanta! Del XX secolo però.
Al netto delle battute, il discorso di Landini ha però un merito oggettivo, quello di riproporre il tema dell’unità sindacale. Era da un po’ di tempo che non se ne sentiva più parlare e cominciavamo a chiederci dove fosse finito. In realtà un sindacato unico farebbe pure bene a tanta gente oggi in balia dei fumi pentastellati e verdepadanisti, e sarebbe pure una buona cosa. Solo che per essere credibile, questo sindacato dovrebbe essere moderno, slegato dalle logiche elettorali, totalmente autonomo da ogni rapporto con tutti i partiti. Un sindacato contrattualistica e sussidiario, che si oppone a ogni legge sul sindacato stesso, che è e si sente e si comporta da associazione di cittadini, che fa della concertazione un metodo e non un fine. Una realtà che si dichiara e si comporta da sindacato riformista, che preferisce i contratti agli scioperi, anche e soprattutto là dove esso è maggioranza. Un sindacato non statalista, partecipativo, che si sporca le mani nella cogestione delle imprese.
Dite che un sindacato così è un’utopia? Mica vero: la Cgil sta cambiando pelle, la Cisl ha in sé molte delle caratteristiche sopra ricordate, la Uil si sta autoriformando. E allora? Allora non resta che attendere che sotto la guida di Landini, o di chi per lui, la Cgil finisca la sua metamorfosi, e a quel punto sì che il sindacato unico sarà quasi a portata di mano. Per adesso vediamo ritorni al passato, ma non è improbabile che fughe nel futuro avvengano di qui a non molto.