Con la solita logica di privilegiare la notizia dell’uomo che morde il cane (e non quella opposta) ha suscitato un certo interesse, sui media, la proposta di alcune associazioni e di talune personalità di spicco del mondo imprenditoriale emiliano romagnolo di partecipare, su invito, alle celebrazioni della Festa del 1° maggio, a fianco dei lavoratori. Non è la prima volta che ciò accade. L’ultima occasione in ordine di tempo venne fornita dalla manifestazione organizzata dai partner confederali il 9 febbraio scorso, quando si presentarono in Piazza S. Giovanni a Roma alcuni imprenditori ravennati, sconvolti per l’incomprensibile blocco delle trivellazioni nell’Adriatico, dopo decenni in cui queste operazioni si svolgevano senza problemi (anzi i cosiddetti pozzi petroliferi erano una meta delle escursioni turistiche quotidiane in partenza da tutti i centri della riviera romagnola). Questa volta (per il prossimo 1° maggio) la richiesta aveva un valore aggiunto più robusto perché si trattava di associare gli imprenditori a una celebrazione da secoli riservata non al Lavoro, ma ai lavoratori. Ed era a questa novità – potremmo dire a questo salto di qualità – a cui erano interessati quelli che un tempo si chiamavano “padroni”.
Come ha dichiarato uno dei big industriali emiliani (già presidente regionale di Confindustria), Maurizio Marchesini, in questa fase “lavoro e impresa stanno facendo in maniera spontanea fronte comune”. Perché allora non innovare anche nei riti di questo mondo complesso, attraverso la concorde celebrazione da parte di tutti i soggetti interessati? E proprio a Bologna dove Cgil, Cisl e Uil hanno deciso di svolgere la manifestazione di carattere nazionale? La scelta del capoluogo emiliano (con un occhio all’intera regione) non è casuale, ma prefigura l’intenzione dei sindacati di caratterizzare uno dei punti più alti dello sviluppo e dei centri pregiati della manifattura, a cui si accompagna una significativa qualità professionale della manodopera, tanto che molti investimenti stranieri non si sono proposti solo di acquistare marchi e impianti, ma anche lavoratori seri e preparati, ancorché sindacalizzati e fieri non solo nel difendere, ma nel migliorare i loro diritti e la loro qualità della vita.
Le aziende bolognesi che sono leader mondiali nei loro settori (alcune non sono mai ricorse neppure alla Cig) sono le stesse che hanno negoziato con i sindacati condizioni di lavoro, retribuzioni e misure di welfare aziendale di tutto rispetto. Certo, le tradizioni vanno rispettate, anche negli anni scorsi, nell’ambito delle iniziative organizzate nell’ambito della ricorrenza del 1° maggio, proprio a Bologna, si svolsero iniziative pubbliche di confronto a cui presero parte, insieme ai sindacalisti, anche degli imprenditori. Ma tutto filò liscio. Questa volta, essendo una manifestazione nazionale, i sindacati locali se ne sono lavate le mani anche se hanno lasciato capire – almeno le strutture territoriali della Cgil – che l’invito alle Associazioni industriali non ritengono opportuno inviarlo.
Il Segretario regionale della Confederazione di Landini Luigi Giove (peraltro vicino a Vincenzo Colla) è stato persino inutilmente ruvido, twittando un feroce: “Più che insistere su di un surreale invito alla manifestazione, Confindustria rinnovi i contratti nazionali, aumentando i salari, contrasti gli appalti illeciti, espella le imprese infiltrate e faccia investimenti”. Come se ciascuna di queste operazioni fossero variabili indipendenti che prescindono dal quadro generale della politica economica e le difficoltà delle imprese fossero il prodotto di una cattiva volontà dei padroni del vapore.
Comunque vadano le cose, non sono queste – lo stare insieme su di un palco – le “novità” che potrebbero mutare l’essenza delle cose e la natura dei problemi. Chi scrive intravede tutte le difficoltà in cui versano i sindacati storici e le associazioni datoriali, anche sul piano delle loro organizzazioni rappresentative. Ma mentre i sindacati – non era facile immaginarlo – hanno deciso di resistere alle lusinghe demagogiche di un governo populista, la Confindustria mostra ancora parecchie incertezze, soprattutto a livello nazionale. Il suo gruppo dirigente – per motivi comprensibili ma non condivisibili – è proteso alla ricerca di un rapporto con la Lega, che conduca all’isolamento della fallimentare politica economica del Governo. Tra la ferma posizione del presidente dell’Assolombarda Carlo Bonomi e quella di Vincenzo Boccia, la discrepanza è evidente. Bonomi avverte il dovere di contrastare non solo taluni provvedimenti destabilizzanti (RdC e Quota 100), ma ha colto e denunciato la gravità della situazione, anche sul versante del logoramento delle strutture democratiche. Come si diceva una volta: “È pronta la Confindustria a indossare le scarpe da tennis?”.