Lo scorso 26 giugno, dopo la lettura dell’esito di un giudizio davanti la Corte di Assise di Appello di Napoli, “il presidente della Corte è stato costretto a interrompere la lettura del dispositivo, atteso che alcuni familiari delle persone offese, presenti in aula, hanno iniziato ad inveire pesantemente, anche con frasi e toni minatori, così protestando avverso la decisione di condannare gli imputati “solo” alla pena di anni 18 e anni 9 e mesi 6, pena, peraltro, ridotta per il rito abbreviato”. Dopo l’intervento delle forze dell’ordine è stato possibile ripristinare le condizioni per consentire ai giudici la pubblicazione del dispositivo, come spiega Il Dubbio.



In seguito “Alcuni degli avvocati impegnati nel processo, dopo essere usciti dalla sede del Palazzo di Giustizia, venivano avvicinati dai familiari delle vittime e aggrediti verbalmente. Il professor Carlo Taormina era aggredito anche fisicamente colpito al volto con alcuni schiaffi” come hanno reso noto le Camere penali di Torre Annunziata e Napoli, che hanno condannato i fatti.



Proteste delle Camere penali

Dopo i fatti avvenuti e l’aggressione ai danni di Carlo Taormina, la Camera penale di Torre Annunziata ha annunciato “lo stato di agitazione per i gravi fatti accaduti, preannunciando ogni iniziativa volta a ribadire l’intangibilità del diritto di difesa, in ogni sua declinazione” mentre la seconda ha scritto un lungo documento di critica di quanto accaduto, descrivendo i fatti come “un tragico ed incivile format che si auto-alimenta e che sta inesorabilmente avvelenando la qualità del processo penale e della nostra democrazia. E che se non tempestivamente interrotto è potenzialmente idoneo ad arrecare seri rischi all’incolumità, anche fisica, dei protagonisti della giurisdizione“.



I penalisti guidati da Marco Campora scrivono che “è comprensibile, forse anche fisiologico, che chi amava una persona provi un profondo rancore nei confronti di chi quella persona gliela ha portata via” ma “noi tutti abbiamo il dovere di non cedere a pulsioni irrazionali, di ricordare che la giustizia non può mai essere vendetta e che la qualità ed il valore della funzione giurisdizionale non si misura sulla base degli anni di galera che vengono inflitti. Concetti basilari che, tuttavia, negli ultimi anni sono costantemente messi in discussione da un populismo penale che sembra ormai aver smarrito anche un qualsivoglia sub-strato ideologico per degradare a mero istinto brutale o riflesso di maniera”, come riporta Il Dubbio.