Ci sono modi diversi per mettere fine alla propria vita. Si può farlo con un botto, letteralmente, come fece Kurt Cobain sparandosi in bocca con un fucile. D’altro canto Cobain nella sua lettera d’addio lo aveva detto esplicitamente, citando un verso di una canzone di Neil Young: “E’ meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente”. Che è quello invece che avrebbe fatto Layne Staley. Giorno dopo giorno, preda dell’eroina il cantante degli Alice in Chains si era lasciato morire. Erano amici, Cobain e Staley, erano i frontman dei due più importanti gruppi della scena di Seattle, quella cosiddetta grunge. Morirono lo stesso giorno, il 5 aprile di anni diversi. Kurt Cobain nel 1994, Staley esattamente venti anni fa, nel 2002. Li accomunava lo stesso male di vivere, quello che aveva caratterizzato la loro generazione, la generazione X, quella che non aveva alcun ideale a cui essere legata. Figli della generazione anni 60, i baby boomer, gli hippie falliti. Lo scrittore Douglas Coupeland, che scrisse proprio un libro a loro dedicato, “Generazione X”, li definì “la prima generazione cresciuta senza il concetto di Dio”. Il che non era poco. Non sapevano manco cosa fosse Dio, non come i loro genitori che Dio lo avevano combattuto convinti di aver vinto dicendo che “Dio è morto”. Per loro, un Dio non era mai esistito. Ma di un padre si vive la mancanza. Che sia quella spirituale o quella fisica. Tutte quelle famiglie di baby boomer infatti si erano disgregate alla prima difficoltà e i loro figli ne avevano subito il trauma.



Se Kurt Cobain, musicalmente, metteva insieme rabbia punk e melodie pop, Layne Staley era cresciuto ascoltando gruppi metallari: Anthrax, Judas Priest, Black Sabbath e Van Halen. Il successo con gli Alice in Chains (Alice in catene, quella del Paese delle meraviglie, un nome che dice tutto quello che c’è da sapere su come ci si sente a vivere senza via di fuga dalla realtà) fu immediato. Tre dischi in tutto (Facelift uscito nel 1990; Dirti di due anni dopo e l’omonimo del 1995, più alcuni live e un unplugged) vendutissimi poi più niente.



Non si sciolsero mai ufficialmente, semplicemente Layne decise di sparire dalle scene. Un evento probabilmente lo aveva segnato per sempre: la morte della fidanzata Demri Lara Parrott nel 1996 a causa di un’endocardite batterica dipesa dall’uso eccessivo di droghe. Già, perché Layne e la ragazza facevano abbondante uso di eroina. Per lui forse il ricordo dell’ombra del padre, anche lui eroinomane sempre assente di casa, aveva lasciato il segno. Un bell’esempio di hippie fallito.

I suoi compagni cercarono di aiutarlo in tutti i modi, portandolo a disintossicarsi varie volte, ma non c’era niente da fare: ci ricascava sempre. Provò anche a dare vita a un progetto alternativo con il chitarrista dei Pearl Jam, i Mad Season, ma durò lo spazio di un solo album.



Stanley finì per rinchiudersi nel suo appartamento di Seattle a farsi di eroina e crack tutti i giorni, insieme alla sua gatta. Usciva solo per comprarle il cibo o prelevare dei soldi, poi stava a casa a farsi o a giocare ai video games. Gli amici di una volta bussavano ala sua porta, ma lui non apriva. Gli lasciavano il cibo fuori dell’appartamento. Chi lo vide negli ultimi tempi, dice di uno zombie che aveva perso i denti, aveva un braccio paralizzato per le troppe iniezioni.

Un giorno, il suo amministratore che aveva notato che era un po’ che Layne non prelevava, avvertì la madre che avvertì la polizia. Sfondarono la porta di casa e lo trovarono disteso sul divano con una siringa nel braccio. Era morto da due settimane, Era il 19 aprile 2002 ma il suo decesso risaliva al 5 aprile, lo stesso giorno della morte di Kurt Cobain. Coincidenze? Chissà. Dopo la sua scomparsa, la madre fondò la “Layne Staley Fund”, una comunità no-profit che si occupa della prevenzione e del recupero dei tossicodipendenti.