Nell’attuale scenario economico e finanziario i banchieri non godono certo di buona fama. Sono visti sotto una cattiva luce anche solo per il fatto di maneggiare il denaro degli altri, oltre che di essere il tramite indispensabile tra lo sprovveduto risparmiatore e il labirinto dell’ingegneria finanziaria. E in effetti le banche, ma più nei paesi anglosassoni che nella realtà italiana, si sono sbilanciate pericolosamente verso la finanza fine a se stessa volutamente dimenticando la loro funzione originaria di essere l’indispensabile canale di collegamento tra l’economia della produzione e quella del denaro, tra il risparmio e gli investimenti. Questo anche grazie a una deregulation che ha tolto le barriere tra le banche “commerciali” e quelle “d’affari”, favorendo comportamenti tesi al massimo profitto nel più breve tempo possibile.

L’Italia in questa panoramica costituisce almeno in parte un’eccezione. Per molte ragioni e non solo perché, come ha ironicamente sottolineato l’attuale ministro dell’Economia, i banchieri italiani sono rimasti provinciali… non conoscendo l’inglese. In realtà, a rendere relativamente più solide le banche italiane hanno contribuito almeno in ugual misura una storia fondata sui forti legami con il territorio, e quindi con l’economia reale, e un’etica dei comportamenti capace di concepire il credito come un servizio alla società civile, aperto non solo ai bisogni delle famiglie e delle imprese, ma anche alle esigenze di equità e di giustizia sociale.

La spina dorsale del sistema del credito in Italia è infatti costituita dal fitto intreccio delle casse rurali, delle casse di risparmio, delle banche popolari che sono nate con un’impostazione profondamente solidaristica, in gran parte nell’ambito dell’impegno sociale della tradizione cattolica, comunque legate a una dimensione etica capace di valorizzare anche l’efficienza e la dinamicità.

Non perdere la memoria di questa realtà vuol dire così anche cercare di ritrovare le ragioni e le direzioni di un cambiamento comunque necessario, ma che non dovrebbe far perdere le motivazioni di un impegno nell’ambito economico e finanziario. È così particolarmente importante non dimenticare e anzi approfondire le figure che hanno dato un apporto decisivo ai punti forti del sistema bancario: tra queste c’è sicuramente Giorgio Zanotto, l’uomo che negli anni 70 prese in mano le sorti di quello che era stato il Banco mutua popolare di Verona, una piccola banca di una pur ricca provincia, e che in pochi anni sotto la sua spinta è cresciuto fino a diventare la terza grande banca italiana.

La vita di Giorgio Zanotto viene rievocata da Giancarlo Galli nel libro “Il banchiere innamorato” (Ed. Marsilio, pagg. 254), con una storia che non solo mette in risalto le qualità e la passione del protagonista, ma costituisce anche un viaggio nella particolarità delle banche italiane e nei valori positivi di un impegno nel sistema economico. Zanotto è stato in fondo un politico nel senso più vero e costruttivo della parola: una persona impegnata nella società (è stato per lunghi anni sindaco di Verona) che ha poi portato in banca gli stessi valori di attenzione e di servizio che dovrebbero contraddistinguere chi gestisce una ricchezza sociale.

Si possono citare le parole del cardinale Attilio Nicora, per alcuni anni vescovo a Verona, che ricorda che Zanotto in una conferenza “a poco a poco trasportò l’uditorio da una descrizione della natura e della funzione del denaro alla riflessione sul senso e sulla fatica dell’impegno del cristiano nel mondo dell’economia, facendo parlare il Vangelo con una naturalezza e una comunicativa rivelatrici di una sua personale, profonda frequentazione del messaggio di Gesù”.

E come sottolinea nella postfazione al volume Carlo Fratta Pasini, che ha raccolto il testimone come presidente del Consiglio di sorveglianza dell’attuale Banco popolare, la figura di Zanotto “si compendia essenzialmente nella fedeltà a pochi semplici principi, nell’adesione assoluta ai valori dell’autonomia e dell’identità, associata peraltro, a un’ampia disponibilità e apertura al nuovo e alla constatazione che i mutamenti, specie se tumultuosi e importanti, offrono sempre, insieme a difficoltà e condizionamenti, anche opportunità di sviluppo di entità proporzionale”.

Solide radici nei valori cristiani e grande apertura per offrire risposte nuove alle nuove esigenze della società. Un compito di ogni persona di buona volontà. Ma con i banchieri che hanno sicuramente una responsabilità in più.