Al di là dei singoli provvedimenti, la manovra varata pochi giorni fa non costituisce certamente un’innovazione nella prassi che da cinquant’anni accompagna l’azione dei governi quando si varano interventi per tentare di risanare i conti pubblici. Un aumento di qualche imposta (questa volta è toccato alle banche e agli investimenti finanziari), un taglio a qualche spesa (e così si è bloccata la rivalutazione delle pensioni medio-alte), un rinvio di qualche promessa (come il tanto decantato impegno alla riduzione della pressione fiscale).



Sono mancate vere misure strutturali che avrebbero potuto tagliare e riqualificare la spesa pubblica, così come soprattutto sono mancate le misure efficaci al rilancio dell’economia che sarebbe l’unica vera soluzione al problema del rientro del debito. Crescita e risanamento sono infatti strettamente legati: lo affermano molto chiaramente Maria Cecilia Guerra e Alberto Zanardi nel Rapporto 2011 sulla Finanza pubblica italiana (Ed. Il Mulino, pagg. 300, € 26), un rapporto in cui si delineano i problemi di fondo del bilancio statale e soprattutto i collegamenti tra questi e la dinamica dell’economia. Nella realtà italiana, oltre che nella teoria economica, la spesa pubblica improduttiva è un freno allo sviluppo mentre lo stesso sviluppo può diventare una soluzione del problema.



Gli obiettivi di raggiungere il pareggio di bilancio nel 2014 e di ridurre anche se molto gradualmente il rapporto debito/Pil sono infatti praticamente realizzabili solo attraverso una crescita molto più robusta dell’attuale. “Se l’economia italiana riprende a crescere – è scritto nel Rapporto – a un tasso di almeno il 2% all’anno il compito è molto impegnativo, ma non impossibile, se invece l’economia ritornasse nel sentiero di quasi stagnazione degli anni 2000-2007, prima della crisi, le prospettive sarebbero davvero preoccupanti”.

Ma si potrebbe dire di più: molti interventi infatti sembrano poter provocare effetti esattamente opposti a quelli dell’auspicato rilancio dell’economia. Non rappresenta certo uno stimolo alla spesa e ai consumi il taglio degli adeguamenti delle pensioni, così come la nuova imposta sul deposito, peraltro obbligatorio, dei titoli non faciliterà certo gli investimenti finanziari e l’operatività degli intermediari. Allo stesso modo, la riduzione degli stanziamenti degli enti locali provocherà inevitabilmente un aumento delle imposte con un inevitabile effetto regressivo.



Senza dimenticare che l’insieme delle misure appena varate è tale da colpire in misura preponderante quel ceto medio che è già uscito in gravi difficoltà per gli effetti di una crisi economica che ha falcidiato i risparmi finanziari e che ha reso più complessa la mobilità sociale e professionale.

Il problema di fondo è quindi di prospettiva. Appare in fondo velleitario pensare di risanare i conti pubblici mettendo in secondo piano il problema della crescita, mentre se si riuscissero ad avviare meccanismi in grado di spingere l’economia anche l’equilibrio dei conti pubblici ne trarrebbe sicuramente vantaggio.