L’immagine più facile per descrivere le prospettive dell’economia italiana in questo momento è quella di un automobilista che si trova di fronte a un bivio: in teoria può scegliere la strada da percorrere, ma entrambe rischiano di portarlo sul ciglio di un burrone. La prima strada è quella dell’austerità, del pareggio di bilancio a tutti i costi, dell’aumento delle tasse: l’effetto è quello della recessione, della brusca frenata dell’economia, dell’aumento della disoccupazione, del crescente disagio sociale. La seconda strada potrebbe essere quella di ritornare a far crescere la spesa pubblica, ridando spazio a una (illusoria) politica keynesiana, rinunciando non solo ai vincoli, ma anche alla solidarietà europea.

Le strade sono due, ma è come se ci fossimo cacciati in un tragico vicolo cieco. Perché sia la prima strada, quella che stiamo percorrendo, sia la seconda, che resta puramente teorica, non possono che provocare enormi contraccolpi negativi. Il tutto aggravato in ogni caso dalla sostanziale inefficienza dello Stato a cui si unisce l’incompiuta dimensione europea dove si è realizzata un’unione monetaria senza avere alla base una reale armonia delle politiche di bilancio.

A proposito di queste ultime, in verità, gli economisti che vanno per la maggiore, e che pensano in inglese e scrivono in italiano, chiamano banalmente “politiche fiscali” quelle che correttamente si dovrebbero definire “politiche di bilancio”, perché comprendono sia i meccanismi delle entrate, il fisco appunto, sia le decisioni che riguardano la spesa pubblica. È forse per questo – permettetemi la battuta – che ogni volta che un documento internazionale parla della necessità di un’adeguata “fiscal policy” gli italiani, politici o economisti che siano, pensano solo a aumentare le tasse invece di intervenire sia sulle entrate che sulle spese.

Il dato di fatto degli ultimi anni, compreso l’ultimo scorcio del Governo Berlusconi-Tremonti, è che nella drammatica ricerca di chiudere le falle in un Paese che ha uno dei debiti pubblici più alti del mondo si è attuata una drastica politica fiscale che ha colpito sia i redditi, sia i consumi, sia i patrimoni immobiliari (con l’Imu) e finanziari (con le nuove tasse di bollo). E con una prospettiva tutt’altro che incoraggiante se è vero, come è vero, che si annuncia all’orizzonte una nuova imposta patrimoniale, vagheggiata dalle sinistre più o meno estreme.

Siamo in un momento in cui comunque non è certamente facile indicare delle soluzioni che possano almeno avviare l’uscita dalla crisi, ma questo non giustifica il fatto che si possa o si debba da una parte continuare nelle politiche sbagliate e dall’altra indicare interventi che non farebbero altro che aggravare ancora di più le condizioni in cui si trovano le famiglie e le imprese.

Come ricorda con precisione Mario Seminerio nel libro “La cura letale” (Ed. Rizzoli, pagg. 176, € 12), l’Italia si trova in una condizione particolarmente delicata, perché ogni anno deve comunque chiedere ai mercati finanziari di rinnovare un settimo del proprio enorme debito pubblico ed “esiste un pericolo che chiunque investa su titoli di debito deve avere ben presente: si chiama rollover risk ed e` il rischio di mancato rinnovo delle passività alla loro scadenza, cioè la possibilità che un debito non rimborsato entro i termini inizialmente pattuiti resti in essere e che la sua scadenza venga ulteriormente posticipata, ma a condizioni decisamente più punitive per il contraente”.

È quindi vero che un risanamento dei conti pubblici a colpi di tasse rischia veramente di essere una “cura letale”, e proprio per questo, dopo aver sopportato l’amara medicina dell’austerità, l’Italia non dovrebbe fare né marce avanti (con nuove tasse), né marce indietro (con nuove spese), ma attuare una ambiziosa politica di bilancio che porti, da una parte, veramente a redistribuire il peso fiscale ridando spazio ai consumi delle famiglie e, dall’altra, a tagliare i costi e gli oneri della politica lottando per l’efficienza della giustizia e della Pubblica amministrazione.

Nel suo libro Seminerio insiste con giustificata determinazione sulla necessità che la crescita, che resta l’unica via d’uscita dalla crisi, possa essere sostenuta offrendo alle imprese nuove e più concrete opportunità di lavoro. Vere semplificazioni quindi e, soprattutto, una giustizia che garantisca tempi rapidi per riconoscere i diritti economici.

Non sarà facile: “Questo – sottolinea Seminerio – e` il dramma che i paesi della periferia dell’Eurozona stanno affrontando: non avendo fatto riforme di struttura in tempi di vacche grasse, o quantomeno di normalità macroeconomica, ora si trovano a doverlo fare in un periodo in cui le riforme di struttura rischiano di rivelarsi esiziali”.

Ci troviamo a pagare non solo il debito delle politiche dissennate degli ultimi decenni del secolo scorso, ma anche il fatto che quei governi hanno dato alla politica l’immagine dell’inefficienza e dello spreco.