I festeggiamenti per i 150 anni dell’Unità d’Italia sono ormai un ricordo. Ma sarebbe un peccato mettere tutto nel polveroso magazzino della storia. È così significativo continuare ad approfondire i temi di fondo che hanno portato il nostro Paese da una realtà con grandi disuguaglianze, fondata in maniera uguale sull’agricoltura e sulla povertà, divisa in staterelli feudali, a essere la seconda potenza industriale d’Europa tra gli otto grandi paesi mondiali.



La rivoluzione industriale è stata il principale motore della crescita economica e sociale, un’industria che si è sviluppata in molte dimensioni e che ha saputo sfruttare al meglio poche risorse materiali e grandi risorse umane. Un’industria che si è subito caratterizzata per la sua capacità innovativa e insieme per aver saputo, soprattutto negli ultimi cinquant’anni con l’abolizione delle barriere in Europa, perseguire con efficacia le strade delle esportazioni e della valorizzazione del made in Italy.



Un’industria comunque sempre a due volti, con molti punti di forza che si affiancano a tanti punti di debolezza, che forse negli ultimi anni hanno preso il sopravvento. Una fotografia profondamente realistica di queste dimensioni la si può trovare nel libro “L’industria nei 150 anni dell’unità d’Italia: paradigmi e protagonisti” curato da Alberto Quadrio Curzio e Marco Fortis (Ed. Il Mulino, Collana della fondazione Edison, pag. 496, € 46) dove sono raccolti i saggi presentati a un convegno organizzato dalla stessa Fondazione Edison e dall’Accademia dei Lincei.

La realtà industriale diventa così il filo conduttore di una storia economica che ha il profondo significato di indicare la strada per quel complesso e difficile futuro di crescita che tutti auspicano e per il quale le ricette sono spesso confuse, se non contraddittorie. I grandi temi dell’equità, del lavoro per i giovani, della difesa ambientale possono infatti essere affrontati costruttivamente solo ritrovando la prospettiva della creazione di ricchezza che è propria della manifattura.



Quasi come una agenda dei punti forti, ci sono otto considerazioni di fondo che Quadrio Curzio e Fortis propongono come elementi essenziali del viaggio dell’industria italiana. Eccoli in sintesi: 1) l’interazione tra scienza, tecnologia, industria, impresa: quattro fattori che hanno spesso esaltato, ma altrettanto spesso condizionato (si pensi alle difficoltà degli ultimi anni nel seguire le strade dell’innovazione) lo sviluppo industriale; 2) le trasformazioni del capitalismo italiano con lo spegnersi delle grandi dimensioni e l’estensione del modello di piccola e media impresa; 3) la critica prima, con l’illusione di un tranquillo passaggio alla società post-industriale, e la riscoperta poi del valore dell’impresa manifatturiera e quindi del lavoro direttamente produttivo; 4) l’evidente fallimento dei modelli di sviluppo fondati sulla finanza; 5) la capacità di compensare con le forte esportazioni nella meccanica e nei beni tradizionali (alimentari, mobili e abbigliamento) il peso delle importazioni di materie prime e prodotti energetici; 6) la puntale smentita delle tesi che sostenevano un declino dell’industria, smentita nei fatti proprio per la significativa crescita dell’export manifatturiero negli ultimi mesi; 7) proprio le esportazioni sono peraltro l’unico elemento dell’economia italiana che è tornato ai livelli pre-crisi; 8) per queste ragioni l’Italia ha bisogno di una vera politica industriale capace di sostenere le ragioni dell’impresa manifatturiera, affiancata da un’agricoltura e da un turismo di qualità.

“Entro 10-15 anni – scrivono Quadrio Curzio e Fortis – nel mondo vi saranno centinaia di milioni di cittadini abbienti dei paesi emergenti in più rispetto a oggi, i quali vorranno comprare le nostre tecnologie e i nostri prodotti di qualità, a patto che essi siano rimasti veramente made in Italy”.

È questa in fondo la conclusione più chiara. L’industria italiana ha un grande vantaggio competitivo che ha le sue radici proprio in una storia industriale che è fatta di passione imprenditoriale, di capacità organizzativa, di partecipazione.